Affitti in nero: l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite

Giovedì 14 gennaio 2016 

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 17 settembre 2015 n. 18214 risolve un contrasto di orientamenti interpretativi affiorato soprattutto nella giurisprudenza di merito,
affrontando con approccio sistematico ed evolutivo la questione inerente alle conseguenze giuridiche previste in caso di difetto di forma scritta del contratto di locazione abitativa; forma scritta richiesta dall’art. 1 comma 4 della legge n. 431/98 per la stipula di “validi contratti di locazione”. Tale contrasto viene risolto partendo da un’attenta e completa analisi dell’evoluzione normativa riscontrabile in materia locatizia, mettendo a fuoco gli interessi sostanziali e i principi di diritto di rilevanza anche costituzionale in esso coinvolti attraverso una sistematica operazione ermeneutica assiologicamente e teleologicamente orientata . Il contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza emessa in data 17 settembre 2015, n. 18241 verte sulla qualificazione giuridica dell’invalidità sancita dall’art. 1 comma 4 della legge n. 431/98 in caso di mancanza di forma scritta del contratto di locazione ad uso abitativo. Nel caso di specie il Tribunale di Latina, nell’ambito di un giudizio di opposizione all’esecuzione scaturito a seguito di una procedura di convalida di sfratto riunito ad un giudizio instaurato per ottenere la relativa risoluzione contrattuale, aveva affermato che l’eventuale nullità del negozio poteva essere fatta valere esclusivamente dalla parte conduttrice dell’immobile locato trattandosi di una nullità relativa, con conseguente inefficacia della procedura esecutiva per rilascio proposta dal locatore; il conduttore infatti poteva vantare un diritto personale di godimento opponibile all’opposto che agiva per il rilascio sebbene il contratto di locazione dell’immobile fosse privo della forma scritta richiesta dall’art. 1 comma 4 della legge n. 431/98. Di diverso avviso era invece la Corte di Appello di Roma chiamata a pronunciarsi in sede di gravame. Secondo la Corte capitolina il contratto di locazione doveva invece ritenersi nullo per mancanza di forma scritta richiesta ad substantiam dall’art. 1, comma 4, l. n. 431/98, con conseguente esclusione di un valido titolo di godimento in capo al conduttore, in applicazione sistematica dell’art. 1421 c.c. secondo il quale, salve diverse ed espresse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e dell’art. 1352 c.c. alla stregua del quale la forma convenzionalmente prescritta deve intendersi imposta per la validità del contratto e non soltanto ad probationem; un’interpretazione ritenuta inoltre coerente con la ratio sottesa all’intervento di riforma legislativa varato con la l. n. 431/98, costituita dall’esigenza diffusamente avvertita di porre un freno ad un mercato contraddistinto da una larga prassi di contratti simulati e in nero, assicurando certezza e trasparenza dei rapporti locativi sia tra le parti contraenti sia rispetto agli interessi fiscali dello Stato con la prescrizione di un limite formale all’autonomia privata conforme ai principi espressi dagli artt. 41, comma 3, e 53 della Costituzione. Secondo la Corte di Appello di Roma, infine, la soluzione della relativa questione ermeneutica non poteva essere influenzata dalla norma ex art. 13, comma 5, L. n. 431/98 che legittima il solo conduttore ad agire per ottenere la c.d. riconduzione del rapporto locativo di fatto, in quanto norma non inerente alla validità del contratto ed avente l’esclusiva finalità di sanzionare una condotta prevaricatrice del locatore. In sede di legittimità la causa veniva rimessa alle Sezioni Unite della Corte di cassazione in ragione della delicatezza della materia locatizia, connotata da un rilevante impatto sociale e quindi tale da rendere opportuna una valutazione unitaria delle questioni giuridiche involte al fine di scongiurare il pericolo di eterogenee interpretazioni. La questione affrontata dalla Suprema Corte è se il requisito di forma ex art. 1, comma 4, l. n. 431/98 sia richiesto ad substantiam ovvero ad probationem e, nel primo caso, se l’eventuale causa di nullità sia da ricondurre alla categoria delle nullità di protezione, con la conseguenza di ritenere soltanto il conduttore, quale parte debole del rapporto locativo, legittimato a far valere in giudizio la nullità del contratto, eventualmente in uno all’azione tendente ad ottenere la riconduzione del rapporto di fatto ai sensi dell’art. 13 comma 5 della medesima legge. Nella sentenza in commento le Sezioni Unite, attraverso un rapido excursus dell’evoluzione normativa della spinosa materia delle locazioni ad uso abitativo segnata prima dalla l. n. 392/78 sull’equo canone, dal D.L. n. 333/92 sul c.d. patti in deroga poi e, infine, dalla l. n. 431/98, procedono preliminarmente all’individuazione del contenuto essenziale di quest’ultima innovazione legislativa costituito dalla definitiva liberalizzazione del canone delle locazioni degli immobili ad uso abitativo a fronte di una maggiore stabilità del rapporto, assicurata dall’obbligo della forma scritta e della registrazione del contratto. In seconda battuta, la corte di legittimità, entrando in contrasto con il primo passaggio argomentativo espresso nella sentenza impugnata dalla Corte di Appello di Roma, afferma che, anche in virtù del generale principio giuridico della libertà delle forme esistente in materia contrattuale - principio secondo il quale la volontà negoziale può validamente manifestarsi con qualsiasi modalità idonea allo scopo ivi compresi i c.d. comportamenti concludenti –, in caso di previsioni normative che prescrivono la forma scritta come forma legale di manifestazione della volontà negoziale non si può in astratto e in via generale ritenere che tale forma sia richiesta ad substantiam, essendo piuttosto necessario procedere ad un’interpretazione sistematica, assiologicamente e teleologicamente orientata ai valori fondamentali accolti nel sistema normativo inerente alla materia di volta in volta trattata ed alla ratio sottesa alla relativa disposizione. In base alla tendenza giuridica evolutiva nota come del “neoformalismo” volta a far emergere il rapporto economico sottostante a ciascun paradigma contrattuale, il prescritto requisito formale diviene non soltanto funzionale all’esigenza di serietà e di certezza degli obblighi assunti dai contraenti ovvero alle esigenze di carattere pubblicitario a tutela della posizione dei terzi sul piano della circolazione dei diritti, ma anche strumento volto al riequilibrio delle posizioni sostanziali in esso coinvolte a tutela della parte c.d. debole del rapporto. In questa prospettiva se l’impianto codicistico e la prima legge speciale n. 392/78 non prevedevano alcun requisito di forma per il contratto di locazione (eccezion fatta per i contratti di durata ultranovennale ex art. 1350 n. 8 c.c.), l’art. 1, comma 4, l. n. 431/98 ha invece previsto la forma scritta per la valida conclusione di contratti di locazione ad uso abitativo. Secondo la Suprema Corte la ratio della disposizione in commento è molteplice. Da un lato la necessità di assicurare certezza ad un rapporto contrattuale inerente ad un bene della vita primario e di rilevanza costituzionale, dall’altro la correlata necessità di stabilizzare il rapporto con fissazione di un canone liberamente pattuito ma al contempo cristallizzato per tutta la sua durata. Accanto a queste finalità di carattere sostanziale la Corte individua e valorizza l’esigenza di combattere il fenomeno degli affitti in nero a tutela degli interessi fiscali dello Stato. Una finalità che emerge sia dai lavori preparatori sia dalla circostanza che il requisito formale rimane fermo anche nei casi in cui non sussiste oggettivamente alcuna esigenza di tutela di una parte debole del rapporto locativo, come nel caso delle locazioni turistiche e nelle locazioni degli immobili di lusso che sono per tale ragione sottratti alla speciale disciplina della riconduzione ex art. 13 comma 5 della medesima legge. Una volta scandagliata la ratio sottesa al requisito di forma, le Sezioni Unite passano all’analisi dei filoni interpretativi presenti nella giurisprudenza di merito. Se un primo orientamento di carattere maggioritario ritiene trattarsi di requisito strutturale ad substantiam ed un secondo rimasto isolato propende invece per una forma scritta richiesta ad probationem, un terzo filone sostiene che tale forma scritta sia necessaria ad essentiam in diretta correlazione con la facoltà prevista per il solo conduttore di chiedere la riconduzione ex art. 13, comma 5, l. n. 431/98 in caso di rapporto di mero fatto in quanto costituito verbalmente su imposizione del locatore, con la conseguenza importante che soltanto il conduttore coartato nella sua volontà negoziale può far valere la nullità del contratto privo della forma scritta. Il conduttore può quindi far valere in via esclusiva la nullità negoziale per mancanza della forma scritta ed esercitare la facoltà di richiedere la riconduzione del rapporto locativo per essere stato il contratto verbale imposto dal locatore, soddisfacendo così anche un interesse generale nel far riemergere un contratto destinato a rimanere privo di certezza e trasparenza nonché ignoto agli occhi del fisco. Nel caso in cui non sussista alcuna imposizione da parte del locatore e il contratto verbale sia stato paritariamente concordato da entrambi i contraenti, la nullità per mancanza di forma scritta tornerà ad essere assoluta, come tale non sanabile e rilevabile da entrambe le parti e anche d’ufficio ex art. 1421 del codice civile. In tale ultimo caso il locatore potrà ottenere il rilascio dell’immobile in quanto occupato sine titulo e il conduttore potrà chiedere la restituzione parziale delle somme versate in favore del primo, non potendo pretendere la ripetizione dell’intero che costituirebbe un ingiustificato arricchimento ai suoi danni. La decisione in commento mette in primo piano gli interessi pubblicistici sottesi al rispetto del principio di trasparenza e soprattutto agli interessi fiscali dello Stato irrimediabilmente lesi dalla diffusa pratica degli affitti in nero, escludendo che il conduttore possa esperire l’azione speciale di riconduzione anche nel caso in cui abbia liberamente accettato di non concludere il contratto in forma scritta per l’evidente presenza di un corrispondente interesse certamente non meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico ed ammettendo in tal caso che la nullità possa essere fatta valere da entrambi i contraenti e rilevata anche d’ufficio dal giudice.

 fonte: il quotidiano giuridico.it

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