LA DECORRENZA DEL TERMINE PER IMPUGNARE UNA DELIBERA CONDOMINIALE

Con una recente sentenza, il Tribunale di Milano sent. n. 5971/2018 ha fatto il punto della situazione stabilendo quali conseguenze determina il deposito della domanda di mediazione ai fini del rispetto del termine per l’azione giudiziaria: domanda che, come noto, sospende la decadenza e impedisce che la decisione dell’assemblea diventi definitiva (anche se irregolare).

La decisione dell’assemblea di condominio può essere impugnata entro 30 giorni che decorrono: per i dissenzienti e gli astenuti, dalla data della delibera; per gli assenti, dalla data di comunicazione della delibera. Il termine è previsto a pena di decadenza; pertanto, una volta decorso, i condomini non possono più impugnare la delibera che diviene definitiva ed esplica i suoi effetti nei confronti di tutti i comproprietari, anche dissenzienti. Questo significa anche che, se in forza di tale decisione, l’amministratore dovesse passare a riscuotere quote condominiali per spese e, in caso di omesso pagamento, dovesse provvedere a richiedere un decreto ingiuntivo, il debitore non avrebbe più possibilità di opporsi al decreto se prima non ha impugnato la delibera condominiale. Il termine di decadenza vale solo per le votazioni annullabili e non per quelle nulle. Per le delibere nulle infatti non sono previsti termini e l’impugnazione può essere fatta valere in qualsiasi momento. Tradizionalmente il punto di riferimento è costituito da una pronuncia delle Sezioni Unite che ha tracciato la linea di demarcazione tra nullità ed annullabilità delle delibere. La delibera è annullabile nelle seguenti ipotesi: in generale, quando è assunta senza che sia stato dato avviso a tutti i comproprietari; quando decide su un atto di ordinaria amministrazione, se è gravemente pregiudizievole della cosa comune, indipendentemente dalla presenza di vizi attinenti alla formazione della volontà della maggioranza; quando decide un atto di straordinaria amministrazione o un’innovazione senza la maggioranza prescritta. La delibera è invece nulla quando mancano i presupposti minimi per potersi ritenere validamente formata la volontà del condominio. In particolare, le delibere nulle essenzialmente sono, quelle: prive degli elementi essenziali; con oggetto impossibile o illecito (contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico, alla morale ed al buon costume); il cui oggetto è esorbitante rispetto alle competenze dell’assemblea; assunte in violazione dei quorum stabiliti da norme inderogabili civilistiche o regolamentari (si pensi, per esempio, al caso in cui il regolamento contrattuale richieda l’unanimità mentre la delibera venga assunta a maggioranza); che incidono sulla proprietà esclusiva di singoli condomini (delibera che decide di eliminare il balcone privato per installare un ascensore esterno). È ritenuta nulla, e non semplicemente annullabile, la delibera dell’assemblea di condominio che ratifica una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale (nel caso in esame si trattava delle spese del telefono privato dell’amministratore nonché quelle relative ad una licenza di software acquistata in proprio dall’amministratore). È nulla la delibera assunta dall’assemblea che, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri per la ripartizione delle spese stabiliti dalla legge o, in via convenzionale, da tutti i condòmini. È nulla la delibera assembleare illecita perché assunta in frode della legge (si pensi a lavori vietati dallo strumento urbanistico). Nulla per impossibilità dell’oggetto è la delibera che pregiudica la sicurezza del fabbricato eliminando le aerazioni senza l’adozione di misure sostitutive atte ad assicurare un ricambio d’aria adeguato alle necessità, anche potenziali, delle unità immobiliari [6] o che esorbita dalle attribuzioni dell’assemblea, autorizzando l’amministratore a nominare un difensore (con oneri a carico del condomìnio) per assisterlo in un processo penale relativo alla gestione delle parti comuni dell’edificio. In materia condominiale esiste l’obbligo, per il ricorrente, di avviare – prima del ricorso al giudice – il procedimento di cosiddetta mediazione obbligatoria, ossia un tentativo volto a trovare un accordo bonario con le controparti. L’istanza di presenta presso un organismo situato nel luogo del tribunale competente. Nei siti internet di molti organismi di mediazione è possibile scaricare e stampare un modulo prestampato che contiene l’istanza (anche congiunta) di mediazione, da compilare e depositare presso la sede dell’organismo. L’amministratore del condominio può partecipare al procedimento di mediazione solo se l’assemblea condominiale l’autorizza con delibera presa a maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 1/2 del valore dell’edificio. Con la nomina del mediatore, il responsabile dell’organismo di mediazione fissa la data del primo incontro tra le parti, che deve avvenire non oltre 30 giorni dal deposito dell’istanza. Per le liti condominiali, il condominio può chiedere al mediatore una proroga del termine se è necessario per assumere la delibera che autorizzi la partecipazione dell’amministratore. L’istanza di mediazione e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte, anche a cura della parte istante, con ogni mezzo che sia idoneo ad assicurarne la ricezione (ad esempio, una raccomandata). Il termine di 30 giorni si può dire rispettato quando viene introdotto il meccanismo di mediazione. Ma, a tal fine – sostiene il tribunale di Milano – non bisogna tenere conto della data del deposito dell’istanza di mediazione, bensì del giorno in cui l’organismo comunica detta richiesta ai controinteressati. Nel caso – poi – la mediazione fallisca, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il termine originariamente previsto, ossia entro trenta giorni, che decorre dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell’organismo. Il fatto di considerare rispettato il termine di 30 giorni per l’impugnazione della delibera assembleare non dal momento del deposito dell’istanza di mediazione ma da quando questa viene comunicata alle controparti fa sì che ricada sull’istante l’eventuale ritardo nell’adempimento da parte dell’organismo. Se cioè l’organismo cui si è rivolto il condomino dovesse spedire la comunicazione alle altre parti dopo la scadenza dei 30 giorni dalla delibera condominiale, quest’ultima diverrebbe definitiva. E il condominio subirebbe le conseguenze per l’altrui ritardo. Tuttavia per il Tribunale di Milano non ci sono dubbi: gli effetti interruttivi del termine dei 30 giorni decorrono non dal deposito della domanda di mediazione, ma – appunto – dalla sua comunicazione alle altre parti. A questo punto sorge spontanea una domanda: il condomino che sia stato così pregiudicato dall’altrui ritardo nelle notifiche del procedimento può chiedere il risarcimento del danno all’organismo di mediazione? La risposta, anche in questo caso, è negativa. E la ragione è molto semplice: la parte istante avrebbe potuto procedere da sola alla comunicazione della domanda di mediazione e non affidarsi all’organismo. Non avendolo fatto non può invocare una eventuale sua incolpevolezza o una responsabilità dell’organismo. Il tutto con la conseguenza finale che l’istante viene dichiarato decaduto dall’impugnazione della delibera. Ovviamente, il ragionamento vale solo per le delibere annullabili, la cui impugnazione è soggetta a un termine, e non per quelle nulle. FONTE:LALEGGEPERTUTTI

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