di Francesco Zuech 23 luglio 2015
Tranne l'esonero dalla tenuta delle scritture contabili, il nuovo regime forfettario (art. 1, cc. 54-89, L. 190/2014) ha
ereditato ben poco dal regime fiscale di vantaggio (dal 2012 al 2014 con proroga per il 2015 e minimi dal 2008 al 2011)
che l'ha preceduto.
Non fanno eccezione gli aspetti Iva per eventuali operazioni con l'estero.
Almeno per tutto il 2015 convivono i due regimi: il forfettario e quello di vantaggio (o dei minimi). La possibilità di
adottare il (più appetibile) regime fiscale di vantaggio (abrogato dalla legge di Stabilità) è stata infatti estesa al 2015
(D.L. 192/2014).
Ciò premesso, in queste note ci concentreremo sui punti di contatto e sulle differenze Iva fra i due regimi e, in
particolare, per le operazioni con l'estero che, con internet, spesso interessano anche i contribuenti minori.
Le
assonanze, in poche parole, riguardano le operazioni interne e le importazioni. Sia i minimi sia i forfettari, infatti, non
addebitano l'Iva in rivalsa (ferma restando certificazione/fatturazione del corrispettivo) né possono detrarre quella
subita (in acquisto o in dogana) e generalmente non sono tenuti a versare imposta, eccetto il caso di acquisti in reverse
charge. Le differenze emergono, invece, nelle altre operazioni estere.
Il nuovo regime forfettario, infatti, non preclude al contribuente la possibilità di effettuare cessioni di beni
all'esportazione (artt. 8, 8-bis, 9, 71 e 72 del DPR 633/72) e introduce una soglie per gli acquisti intracomunitari di
beni. Più nel dettaglio:
• per importazioni, esportazioni ed operazioni assimilate i forfettari applicano le regole ordinarie, tranne la possibilità di
effettuare acquisti con utilizzo del plafond; per i minimi, invece, è esclusa a monte l'effettuazione di esportazioni ed
assimilate;
• per le cessioni intracomunitarie di beni, minimi e forfettari sono, invece, allineati e trova applicazione la medesima
disciplina delle cessioni interne (quindi niente addebito di Iva e niente Intrastat), per via del richiamo all'art. 41, c. 2-bis,
del D.L. 331/93;
• per gli acquisti intracomunitari di beni la novità, per i forfettari, è rappresentata dall'applicazione dell'art. 38, c. 5/c, del
D.L. 331 con la conseguenza che, entro la soglia annua di € 10.000, l'Iva è pagata direttamente al fornitore UE salva
possibilità, si ritiene, di optare (previa comunque iscrizione al VIES) per il regime ordinario del reverse charge;
• per le prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi, il nuovo regime forfettario prevede
l'assoggettamento delle ordinarie regole degli articoli 7-ter e seguenti del DPR 633/72 (compresa quindi inversione
contabile ed eventuale Intrastat per i servizi generali).
In merito agli ultimi due punti, innanzitutto, va ricordato che per gli acquisti intra dei minimi, normativa e prassi (C.M.
36/E/10) non prevedono soglie di esclusione dal reverse e a tal riguardo l'Agenzia ha precisato (C.M. 39/E/11) che i
minimi sono tenuti all'iscrizione nel VIES, mentre dal lato attivo non addebitano Iva e non compilano Intrastat.
Ciò premesso, rimane da capire quali siano, invece, i riflessi per il forfettario che non s'iscrive nel VIES e che, fino a €
10.000 di acquisti, non è sicuramente debitore in reverse. Ipotizzando che gli effetti siano gli stessi previsti per i
contribuenti in regime normale e cioè "dequalificazione" ad operazioni "interne" (C.M. 39/E, R.M. 42/E/2012), si potrebbe
sostenere che senza iscrizione VIES il forfettario riesce non solo ad acquistare beni e servizi intra senza applicare il
reverse, ma anche a fatturare comunque senza Iva le operazioni attive Intra. In tale ipotesi è ovviamene coerente
concludere per l'esclusione dagli adempimenti Intrastat. Su queste questioni sarebbe comunque opportuno conoscere il
pensiero delle Entrate.
FONTE: SISTEMA RATIO CENTRO STUDU CASTELLI