Recupero di Iva, in seguito ad accertamento, per fatture inesistenti, a chi spetta l’onere della prova?

Venerdì 17 giugno 2016

A seguito di p.v.c., redatto sulla base della verifica fiscale svolta dalla Guardia di Finanza, l’Agenzia delle entrate notificava ad una società un avviso di accertamento per il recupero a tassazione dell’Iva detratta, in quanto afferente ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti,
trattandosi di società c.d. cartiere interposte. In sostanza, la contribuente avrebbe assolto in rivalsa e poi detratto l’Iva non pagata dalle quattro fornitrici italiane, con un risparmio di imposta che le aveva consentito di praticare consistenti sconti agli acquirenti finali. Dopo essere risultata vittoriosa, la contribuente, in entrambi i giudizi di merito, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e art. 21, comma 6, in quanto il giudice d’appello ha erroneamente preteso la prova di una consapevolezza effettiva nel cessionario dell’esistenza della frode, se non della sua partecipazione dolosa alla stessa, essendo invece sufficiente che nel suo comportamento possa ravvisarsi una negligenza negoziale. In caso di indebita detrazione di fatture a fini IVA, in quanto relative ad operazioni ritenute inesistenti: a) l’Ufficio è tenuto a fornire la prova o che l’operazione fatturata non è mai stata posta in essere, ovvero che essa non è intercorsa tra i soggetti indicati nella fattura, a tal fine indicando gli elementi – anche solo indiziari – sui quali si fonda la contestazione, ivi compresa la conoscenza o conoscibilità del cessionario/committente in ordine alla fittizietà delle operazioni; B) ricade invece sul contribuente l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficienti, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n. 12802/2011). Spetta pur sempre al giudice tributario di merito valutare la sussistenza del caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi forniti dall’amministrazione finanziaria, esaminandoli sia singolarmente, sia nel loro complesso, nonchè la specifica consistenza e rilevanza della prova contraria eventualmente offerta dal contribuente, esponendo adeguatamente l’esito di tale concomitante giudizio nella motivazione della sentenza. Per la Cassazione, con sentenza n. 8805 del 04/05/2016, la causa va rimessa all’esame dei giudici di secondo grado, non senza mancarsi di richiamare lo specifico precedente reso tra le medesime parti – ed in termini del tutto analoghi – dalla stessa Corte, con sentenza n. 22005 del 17 ottobre 2014.

 FONTE: IL TUO TRIBUTARISTA

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