Venerdì 1 aprile 2016
Con la recente ordinanza n. 82 depositata in data 07.01.2016, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, si è pronunciata in relazione alla problematica dell’illegittimità della cartella di pagamento relativa a diritti e imposte doganali per vizio di motivazione, riferita alla materia di riscossione.
In particolare, nel caso in esame il contribuente aveva impugnato detta cartella avanti la Commissione Tributaria Provinciale e, a seguito della pronuncia di rigetto, il ricorrente aveva dunque proposto appello avanti la Commissione Tributaria Regionale.
Nel giudizio conseguente, la CTR accoglieva i motivi proposti dal contribuente, osservando che la cartella di pagamento, nella quale era stata trasfusa la pretesa fiscale avanzata dall’Agenzia delle Dogane, era stata notificata senza il processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza concernente l’accertamento degli illeciti ed in mancanza, altresì, della sentenza penale di assoluzione, con conseguente violazione dell’art.7 della L. n.212/00 e dell’art.3 della L. n.241/40, rendendo in questo modo impossibile al contribuente prendere cognizione dei fatti oggetto di contestazione.
In particolare, secondo i giudici dell’appello, ciò costituiva violazione dell’art. 7 della L. n.212/00, non risultando neppure che l’Ufficio avesse fornito la prova della colpevolezza del contribuente, che era stato prosciolto nel giudizio penale in relazione all’intervenuta prescrizione.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli proponeva dunque ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo, l’Ufficio contestava che le censure esposte dal contribuente erano relative a vizi pertinenti l’invito di pagamento e non già la cartella esattoriale, dunque quest’ultima, essendo stata preceduta da un avviso di liquidazione non impugnato, non doveva essere ritenuta soggetta all’obbligo di motivazione.
Con il secondo motivo, assorbente anche del terzo, l’Agenzia eccepiva il difetto di motivazione, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe esaminato le deduzioni dell’Agenzia stessa in punto responsabilità del ricorrente, che sarebbero pacificamente emerse dal verbale della Guardia di Finanza, secondo cui vi sarebbero state false dichiarazioni, da parte del contribuente, in ordine all’immissione in libera pratica di merce proveniente da Paesi extra UE.
La Suprema Corte, richiamando una propria precedente statuizione (sentenza n. 21177/14), ha avuto modo di affermare nuovamente il principio secondo cui non è possibile dichiarare l’annullamento di una cartella esattoriale per vizio di motivazione nel caso in cui quest’ultima, che non costituisca il primo e unico atto con cui si esercita la pretesa tributaria, sia stata preceduta dalla notifica di un altro atto impositivo. Ciò anche qualora la stessa non abbia riportato gli elementi essenziali dell’atto presupposto, conosciuto e autonomamente impugnato dal contribuente.
A tale proposito la Corte, facendo specifico riferimento ai principi esposti in materia dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., S.U., sentenza n. 11722/10), ha infatti affermato che “Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, come è nel caso in cui il Consorzio, ai sensi del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 21, procede alla riscossione dei contributi, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione”.
Nel caso in questione, ha osservato la Suprema Corte, la cartella impugnata era stata pacificamente preceduta da un avviso di liquidazione, tra l’altro menzionato e riprodotto nel ricorso.
Conseguentemente, ad avviso del Giudice di legittimità la Commissione Tributaria Regionale ha errato nel ritenere la cartella impugnata affetta da un vizio di motivazione, in quanto la medesima conteneva il riferimento alla sentenza penale pronunciata nei confronti del contribuente.
Non solo. La Corte di Cassazione ha ritenuto meritevole di accoglimento anche il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Agenzia, affermando che il Giudice dell’appello non aveva debitamente esaminato un verbale della Guardia di Finanza da cui erano emersi fatti decisivi per il giudizio in malam partem rispetto alla posizione del contribuente.
fonte:ecnews.it -di Luigi Ferrajoli -
LA SENTENZA
In fatto e in diritto
B.G. ha impugnato la cartella di pagamento relativa a diritti e imposte doganali innanzi al giudice di primo grado che ha respinto il ricorso. L'impugnazione proposta dal contribuente è stata accolta dalla CTR della Campania che, con sentenza n. 134/2013/45, depositata il 15.4.2013, ha annullato l'atto impugnato. Secondo i giudici di appello la pretesa fiscale era stata formulata notificando solo la cartella di pagamento, sfornita del processo verbale della Guardia di Finanza concernente l'accertamento degli illeciti - necessario ai sensi dell'art. 24 L. n. 4/1929 - e priva della sentenza assolutoria adottata in sede penale. Per tali motivi il contribuente non aveva potuto prendere cognizione dei fatti allo stesso contestati. Era stato pertanto violato l'art. 7 L. n. 212/2000. Peraltro, l'Ufficio non aveva fornito la prova della colpevolezza del B., assolto nel giudizio penale in relazione all'intervenuta prescrizione, né risultando che il suddetto fosse il ricettatore. L'Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale la parte intimata non ha fatto seguire il deposito di difese scritte. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 3, L. n. 241/1999 (ndrart. 3, L. n. 241/1990) e dell'art. 7 L. n. 212/2000. Premesso che le censure esposte in sede di appello dal contribuente involgevano vizi propri dell'invito di pagamento e non la cartella, l'Agenzia precisa che quest'ultimo atto, essendo stata preceduto da un avviso di liquidazione non impugnato, non poteva ritenersi soggetto all'obbligo di motivazione. Obbligo che doveva comunque ritenersi assolto in relazione al richiamo per relationem alla sentenza penale e al processo verbale della Guardia di finanza. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione, non avendo la CTR esaminato quanto dedotto dalla stessa Agenzia in ordine alla responsabilità del contribuente acclarata dal verbale della Guardia di finanza, al quale erano state imputate le falsità delle dichiarazioni dalle quali era derivata l'immissione in libera pratica di merce proveniente da Paesi extra UE. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 338 dPR n. 43/1973. La CTR non aveva considerato che il comportamento omissivo del B. aveva contribuito all'immissione in libera pratica di merce che doveva essere imbarcata sulle navi come provvista di bordo. Nessuna difesa ha spiegato la parte intimata. Il primo motivo di ricorso è manifestamente fondato. Secondo questa Corte la cartella esattoriale, che non costituisca il primo e l'unico atto con cui si esercita la pretesa tributaria, essendo stata preceduta dalla notifica di altro atto propriamente impositivo, non può essere annullata per vizio di motivazione, anche qualora non contenga l'indicazione del contenuto essenziale dell'atto presupposto, conosciuto ed autonomamente impugnato dal contribuente - cfr. Cass. 21177 del 08/10/2014. Ciò costituisce naturale completamento dei principi esposti dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo i quali "Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l'ente impostore esercita la pretesa tributaria, come è nel caso in cui il Consorzio, ai sensi del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 21, procede alla riscossione dei contributi, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell'imposizione".-cfr. Cass. S.U. n. 11722/2010-. Orbene, nel caso di specie appare documentale che la cartella impugnata era stata preceduta da un avviso di liquidazione, riprodotto a pag. 3 del ricorso. Ha dunque errato la CTR nel ritenere la cartella affetta dal vizio di motivazione, risultando pacifico che la stessa conteneva comunque il riferimento alla sentenza penale resa nei confronti del contribuente. Il secondo motivo di ricorso è parimenti fondato. L'Agenzia delle dogane, per vero, ipotizza l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio esposti nel verbale della Guardia di Finanza correlati alle false dichiarazioni commesse anche dal B. che avrebbe consentito l'immissione in libera pratica di merce extra UE senza mai giungere come provvista di bordo, per le navi ormeggiate nel porto di Napoli. La CTR non ha mostrato di avere esaminato tale verbale, ragion per cui appare fondata la censura prospettata. Il terzo motivo di ricorso resta assorbito dall’accoglimento del secondo. In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi, assorbiti il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Visti gli artt. 375 e 380-bis c.p.c. Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.