Mercoledì 20 aprile 2016
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 5734 del 23 marzo 2016, ha statuito che “l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare un dialogo preventivo tra fisco e contribuente … rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa”.
Evoluzione processuale
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento, con il quale l’Amministrazione finanziaria richiedeva alla contribuente maggiori imposte, sanzioni e interessi, e contro il quale la società proponeva ricorso in commissione.
La contribuente – avendo aderito al condono tombale (ex articolo 9, legge 289/2002) – assumeva che l’accertamento era inibito all’Amministrazione, in quanto la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione resa dalla stessa contribuente era divenuta definitiva. In subordine, sosteneva di avere diritto al rimborso dell’Iva in eccedenza, richiesto a seguito dell’acquisto di beni ammortizzabili (ex articolo 30, comma 3, lettere b) e c), del Dpr 633/1972).
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso con decisione poi riformata dalla Ct regionale in seguito all’appello dell’ufficio.
Il secondo giudice dichiarava che l’atto di diniego del credito Iva opposto dall’ufficio e il contestuale recupero del rimborso Iva erogato erano legittimi.
Alla luce dell’ordinanza 340/2005 della Corte costituzionale, la commissione regionale affermava che il condono rendeva immodificabili le richieste di rimborso dei contribuenti, ma non incontestabili i crediti da questi vantati: legittimamente, l’Amministrazione aveva richiesto l’esibizione della documentazione comprovante la sussistenza del credito e, non avendo ottenuto risposta dalla società, aveva proceduto all’accertamento.
Il giudice di appello osservava, quindi, che la documentazione prodotta dalla società in primo grado non era utilizzabile in ragione del disposto di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973.
La contribuente propone, dunque, ricorso per cassazione, fondato, tra l’altro, sulla violazione dell’articolo 57 del Dlgs 546/1992. Sostiene, infatti, che la Ctr erroneamente avrebbe accolto, in violazione del divieto di nova in appello, l’eccezione di inutilizzabilità dei documenti prodotti in primo grado, sollevata tardivamente dall’Agenzia solo in secondo grado, mentre in primo si era limitata a contestare nel merito l’attendibilità e la regolarità della documentazione prodotta.
Pronuncia
La Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso, osserva che la contribuente sostanzialmente contesta l’applicazione d’ufficio dell’articolo 32 del Dlgs 600/1973 da parte del giudice di appello.
La norma citata, ai commi 4 e 5, prevede “(4) Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. (5) Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.
A giudizio della suprema Corte, “il tenore letterale della norma consente di enucleare una efficacia automatica della sanzione di inutilizzabilità della documentazione prodotta tardivamente”, in presenza dei presupposti ivi previsti, in quanto la comminatoria è direttamente e oggettivamente riferita agli stessi e non è stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilità, che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalità ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado.
Ne consegue che l’omessa o intempestiva risposta è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa, e non trova applicazione il Dlgs 546/1992, articolo 58, comma 2, che consente alle parti nuove produzioni documentali anche nel corso del giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza.
Va, quindi, affermato il principio secondo il quale, “in tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell'Amministrazione finanziaria, previsto dal Dpr 600/1973, articolo 32, comma 4, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità, che consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all’articolo 32, comma 5, Dpr 600/1973”.
Il contribuente, pertanto, può avvalersi di tale deroga solamente depositando in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio, e dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.
La suprema Corte, quindi, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.
FONTE:FISCOGGI Salvatore Tiralongo