Venerdì 18 marzo 2016
Non è mobbing rimproverare e sanzionare più volte il lavoratore se questi è effettivamente negligente e non adempie gli ordini impartiti. Non si può parlare di mobbing se i rimproveri e le ripetute sanzioni disciplinari irrogate al dipendente sono fondate e rispondono all’effettiva negligenza di quest’ultimo sul luogo di lavoro.
In tale ipotesi, infatti, non si può accusare il datore di un piano persecutorio nei confronti del dipendente; si tratta di reazioni giustificate dal comportamento inadempiente e non corretto di quest’ultimo.
È quanto affermato da una recente sentenza della Cassazione [Cass. sent. 2116/2016] ritornata sui requisiti essenziali del mobbing.
Il mobbing viene definito dai giudici come un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.
La denuncia del mobbing implica dunque la prova, da parte del lavoratore interessato, di condotte ingiustificate e vessatorie nei propri confronti da parte del datore e/o dei colleghi, finalizzate in modo univoco e specifico alla persecuzione, isolamento, emarginazione, umiliazione.
Non può parlarsi di piano persecutorio quando i rimproveri e le vessazioni dipendono anche e soprattutto dalla condotta dello stesso dipendente che, essendo poco rispettoso degli ordini impartiti dai superiori, poco collaborativo e negligente, rende “pesante” il clima dell’ufficio.
La recidività del dipendente nell’adottare comportamenti poco diligenti sul luogo di lavoro, se comprovata da molteplici sanzioni disciplinari confermate in giudizio, giustifica i rimproveri e l’insistenza del datore di lavoro escludendo così esclude il mobbing.
Si ricorda che requisiti del mobbing sono i seguenti:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso causale tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
FONTE:www.laleggepertutti.it