Martedì 12 gennaio 2016
Studi di settore da adattare alla specifica realtà aziendale : confermata una breve analisi di due pronunce recentissime, nelle quali vengono evidenziati due aspetti importanti, da una parte la possibile retroattività dell’applicazione a difesa del contribuente e dall'altra la disapplicazione se il contribuente è in crisi da anni.
La Corte di Cassazione torna sul tema dell’applicabilità degli studi di settore ad anni precedenti (ed anche a periodi in cui valevano i c.d. “parametri”) con la sentenza 18 novembre 2015 n. 23554. Ed è positivo riscontrare che in questo contesto non vi sono da segnalare novità interpretative tali da mutare il consolidato orientamento della Corte.
Si tratta del caso di un contribuente che ha formulato l’eccezione sin dal primo grado del giudizio, contestando la illegittimità dell’accertamento, eseguito sulla base dei parametri, “a fronte della risultanza di congruità dello studio di settore” e che ha quindi dedotto sia un vizio di violazione di legge sia un vizio motivazionale della sentenza impugnata.
La C.T.R., dopo avere esposto che il contribuente non ha dedotto “alcuna prova a sostegno della fondatezza delle proprie ragioni”, ha tuttavia rilevato che il medesimo contribuente “ha dichiarato di essere congruo secondo le risultanze degli studi di settore” e che “l’Ufficio ha confermato”.
Di tale dato, pacifico dunque tra le parti, i giudici d’appello si sono limitati a tenere conto, però, ai soli fini della compensazione delle spese processuali del giudizio.
La Corte richiama l’indirizzo consolidato secondo il quale la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, che giustifica la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile, (così Cass. SS.UU. 26635/2009, e poi Cass. 1843/2014 e Cass. 22949/2014). Già questa Corte, con la sentenza n. 9613/2008, aveva qualificato siccome più raffinato il nuovo mezzo di accertamento introdotto dal DL. n. 331 del 1993 , artt. 62-bis e 62-sexies, rispetto ai paramenti su cui poggiava l’accertamento induttivo DPR n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1 ed in base alla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181.
In tal senso, il risultato di congruità emergente dall’applicazione dello studio di settore, stante la natura procedimentale di quest’ultimo, non può essere escluso ove applicato ad un anno anteriore, tanto più, come precisato da Cass. 8311/2013, a fronte di situazioni ordinarie, non essendo emerse situazioni contingenti, cioè correlate solo a determinate annualità d’imposta o eccezionali, cioè ad esempio di tipo economico.
Il dato di congruità dei ricavi o compensi dichiarati dal contribuente, rispetto allo studio di settore approvato con riferimento all’attività svolta, dato questo non contestato dall’Agenzia delle Entrate (come accertato in sentenza dalla C.T.R.), valeva pertanto, secondo gli Ermellini, a rendere illegittimo l’accertamento basato sull’applicazione dei parametri.
Mentre l’ordinanza 10 novembre 2015 n. 22946 della Corte di Cassazione ha il pregio di riaffermare in sintesi i criteri che la Corte adotta da tempo in relazione agli accertamenti fondati sugli studi di settore.
In particolare, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012).
In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico- presuntivo”.
Inoltre “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. N. 26843/2014).
Nel caso specifico nel giudizio di merito si è valorizzato il fatto che l’impresa in questione versasse da anni in uno stato di profonda crisi, con conseguente limitazione dei ricavi rispetto a quanto previsto dallo studio di settore. Tale motivazione appare alla Corte sufficiente a confermare la sentenza di appello respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
fonte: il tributo