Martedì 08 Dicembre 2015
Quali valutazioni può desumere il giudice dal comportamento della parte che nei 30 giorni non abbia risposto all’invito alla negoziazione assistita?
Prime applicazioni giurisprudenziali delle nuove regole sulla negoziazione assistita, uno degli strumenti – alternativi al processo – per risolvere le controversie, obbligatoria per determinate materie a partire dallo scorso 9 febbraio 2015.
Con una recente sentenza, il Tribunale di Verona ha chiarito quali sono le conseguenze della mancata risposta della parte, nei 30 giorni previsti per legge, all’invito alla negoziazione assistita. Ma procediamo con ordine.
Cos’è la negoziazione assistita
Introdotta con la riforma del 2014, la negoziazione assistita consiste in un invito (inoltrato tramite PEC o raccomandata a.r.) che la parte attrice rivolge alla parte convenuta, prima di agire davanti al giudice, invitandola a stipulare un accordo (cosiddetta “convenzione di negoziazione”) al fine di raggiungere un accordo che ponga fine alla lite fuori dalle aule di tribunale.
Il mancato invio di tale missiva comporta l’improcedibilità della successiva domanda giudiziale: in altre parole, la causa non può partire e il giudice deve invitare le parti a procedere alla negoziazione, assegnando loro un termine per adempiere.
La negoziazione deve essere fatta con l’assistenza di uno o più avvocati: in caso di successo sfocia in una conciliazione che confluisce in un accordo sottoscritto dagli avvocati.
Entro 30 giorni dalla ricezione dell’invito la controparte può decidere esplicitamente (ad esempio con una dichiarazione spedita alla parte invitante mediante raccomandata a/r) di non aderire all’invito, in alternativa può lasciare decorrere il termine, in quanto la mancata risposta nei 30 giorni equivale all’espresso rifiuto di aderire.
Il procedimento di negoziazione in tali ipotesi si considera esperito.
In tal caso entro 30 giorni decorrenti dal rifiuto o dalla mancata accettazione nel termine la parte invitante deve proporre la domanda giudiziale.
Che succede se la parte non aderisce all’invito alla negoziazione assistita?
La legge stabilisce che, in caso di mancata risposta all’invio di controparte o di rifiuto espresso, il giudice possa valutare tale comportamento ai fini della decisione su:
– spese di giustizia, ossia quelle legale alla soccombenza nel giudizio;
– eventuale responsabilità aggravata processuale, che si andrebbe a sommare alle spese di soccombenza;
– concessione della provvisoria esecutorietà in caso di opposizioni a decreto ingiuntivo.
La giurisprudenza
Come si diceva in apertura, è recente la sentenza del Tribunale di Verona che applica ed estende tali principi fissati dalla legge. Secondo il giudice veneto, il comportamento della parte invitata alla negoziazione assistita che non risponde entro il termine di 30 giorni dall’invito può essere sì valutato dal giudice ai fini dell’applicazione della disciplina della responsabilità aggravata, tuttavia è sempre concessa una giustificazione per dimostrare che il silenzio, di fronte all’invito, è stato giustificato da valide ragioni. Infatti, si legge in sentenza, le conseguenze della omessa risposta non si applicano quando:
– la risposta è tardiva a causa di un semplice ritardo nel riscontrare l’invito;
– alla mancata risposta non si aggiunge anche la mala fede o la colpa grave nel resistere in giudizio. Come dire, insomma, che vanno comunque valutate le ragioni, nel merito, che spingono la parte a non conciliare. Difatti, se la sua domanda è potenzialmente fondata o comunque “non temeraria”, è anche suo diritto non aderire all’offerta di negoziazione assistita, senza che ciò possa avere conseguenze sul profilo della condanna.
Fonte:www.laleggepertutti.it