Martedì 21 marzo 2017
Avverso l’atto di pignoramento, viziato dalla mancata notifica, è ammessa l’opposizione dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 57 DPR 602/73.
In tali casi, il giudice dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale.
Lo ha sancito la Cassazione con la sentenza n 9246/2015 del 07 maggio 2015.
Al giudice ordinario anche le liti per crediti tributari
Con questa pronuncia la Cassazione ha così dettato un principio di diritto che rimette al giudice ordinario – in presenza del predetto (descritto) contesto ed anche nelle liti inerenti la riscossione coattiva di crediti tributari – l’esame sulla correttezza del relativo procedimento e quindi sul rispetto della sequenza procedimentale della notificazione della cartella di pagamento, nonché (se l’espropriazione non è iniziata entro un anno) della notificazione dell’intimazione ad adempiere ex art. 50, comma 2 del DPR 602/1973, cui segue l’atto di pignoramento.
Alla luce di ciò, il difensore non è gravato dall’onere di impugnazione entro sessanta giorni, ex art. 21 del DLgs 546/92, dovendosi aver riguardo delle norme del codice di rito che disciplinano le opposizioni in materia, con la conseguenza che al debitore, oltre l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., è riservato in questi casi l’opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., riguardante le ipotesi dove – iniziata l’esecuzione – si intende contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata o la pignorabilità dei beni.
Opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c.
L’opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., da proporsi con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa, non è soggetta ad uno specifico termine, salvo quanto disposto dalla parte finale della citata norma, ove si indica che, nell’esecuzione per espropriazione, l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma dell’art. 552 c.p.c., salvo ancora che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.
Termine perentorio di 20 giorni per l’opposizione ex art. 617 c.p.c.
Il rimedio ex art. 617 c.p.c. è caratterizzato da un termine perentorio di venti giorni, cioè da un limite temporale comune ad alcune casistiche (eterogenee tra loro e che, a seconda dei casi, impongono l’impugnazione mediante citazione o ricorso) descritte dalla medesima norma, e questo a conferma del fatto che mentre l’opposizione all’esecuzione può essere proposta in ogni momento e sino alla conclusione del processo esecutivo, l’introduzione di quella prevista dall’art. 617 c.p.c. è preclusa quando sia (appunto) decorso il termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza legale dell’atto che si assume illegittimo.
Sia per l’opposizione all’esecuzione che per l’opposizione agli atti esecutivi avanzate nel corso del procedimento esecutivo già iniziato, le forme previste dall’art. 615 c.p.c., comma 2 e art. 617 c.p.c., comma 2, non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono essere proposte anche oralmente nell’udienza, ovvero mediante deposito in tale udienza di una comparsa, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo, cioè della costituzione del rapporto processuale cognitivo (Cass n. 27162/2006, Trib. Novara 17 ottobre 2016, Trib. Bari 27 ottobre 2010).
FONTE:ILTUOTRIBUTARISTA