Cartelle di pagamento non impugnate e prescrizione

Mercoledì 14 dicembre 2016

Quale termine di prescrizione applicare alle cartelle di pagamento non impugnate? Rispondono, con una rivoluzionaria e parimenti attesissima pronuncia, le Sezioni Unite, con la sentenza 17 novembre 2016, n. 23397.
La scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione a ruolo produce solo l’effetto della irretrattabilità del credito contributivo ma non la conversione del termine di prescrizione breve (quinquennale) in quello ordinario (decennale). Tale principio si applica a tutti gli atti di riscossione coattiva di crediti di enti previdenziali, o relativi alle entrate dello Stato, tributarie, extratributarie, nonché ai crediti di regioni province comuni, nonché delle sanzioni per la violazione delle norme tributarie e amministrative. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve dell’ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cod. civ, tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo». Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione, aveva ad oggetto il ricorso promosso dall’INPS avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania con cui veniva dichiarato prescritto il credito vantato dall’Istituto con la cartella esattoriale oggetto d’impugnazione tardiva da parte del contribuente e giudicata, dunque, inammissibile in primo grado. L’INPS sosteneva che la mancata tempestiva opposizione alla cartella di pagamento, avrebbe determinato l’intangibilità della pretesa contributiva con applicazione analogica dell’articolo 2953 c.c. e dunque la conversione del termine prescrizionale decennale. La Sesta Sezione civile, avendo riscontrato “disarmonie” sulla determinazione dell’ambito di applicabilità dell’articolo 2953 c.c., con riferimento alla riscossione mediante ruolo di diversi tipi di crediti, degli enti previdenziali, per sanzioni amministrative pecuniarie e/o per violazioni di norme tributarie e così via, ha sollecitato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, qualificandola come una questione sia di massima di particolare importanza, anche per il cospicuo contenzioso in corso che ne è interessato. In buona sostanza, il “nodo” che le Sezioni Unite sono state chiamate a sciogliere era relativo all’applicabilità dell’art. 2953 c.c. anche alle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivasse da atti diversi da una sentenza passata in giudicato e, dunque, se l’infruttuoso decorso del termine perentorio per l’opposizione alla cartella esattoriale producesse non solo l’effetto di irretrattabilità del credito, ma anche la conversione del termine di prescrizione da breve in quello ordinario. Ebbene, con malcelato disappunto il Supremo Consesso delle Sezioni Unite ha riportato i due orientamenti “contrastanti” formatisi nella giurisprudenza di legittimità, sottolineando come quello minoritario troverebbe riscontro in pochissime sentenze di legittimità e quasi sempre in obiter dicta. Il primo, assolutamente maggioritario e più risalente, confermato anche dalla sentenza a Sezioni Unite del 2009, negava l’applicabilità della conversione del termine prescrizionale da breve in ordinario per la sola mancata impugnazione delle stesse, nei termini previsti dalla legge, limitando l’applicabilità dell’art. 2953 c.c. solo alle ipotesi di diritto di credito accertato con sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale o anche di decreto o di sentenza penale di condanna divenuti definitivi. Per tale indirizzo l’atto con cui inizia il procedimento di riscossione forzata, qualunque sia il credito cui si riferisce pur avendo natura di atto amministrativo con le caratteristiche del titolo esecutivo è privo di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato perché è espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A. Pertanto, l’inutile decorso del termine perentorio per proporre l’opposizione, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell’articolo 2953 c.c., ai fini della prescrizione. Orbene, nell’excursus compiuto dalle Sezioni Unite appare chiaro che tale impostazione sia rimasta incontrastata nella giurisprudenza di legittimità anche con l’individuazione della categoria dei cd. titoli paragiudiziali, per i quali non viene mai indicato come riferimento normativo l’art. 2953 c.c., e il cui riferimento ha finalità differente dalla prescrizione. La prima sentenza che ha dato vita a quello che il Supremo Consesso definisce apparente contrasto è una sentenza della Sezione Tributaria del 2004, con cui la Corte si è limitata ad affermare espressamente che per effetto della iscrizione “l’Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall’articolo 2946 c.c.”, senza peraltro alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all’actio judicati. Ebbene, sulla erronea determinazione del contenuto di detta sentenza, trascinatasi per inerzia nel tempo, si è poi creata la disarmonia de qua sul punto, creando notevoli conseguenze soprattutto nella giurisprudenza di merito. Le Sezioni Unite, aderendo all’indirizzo maggioritario, hanno ribadito che non solo che la disciplina della prescrizione è “di stretta osservanza ed è insuscettibile d’interpretazione analogica” ma anche che: a) se in base all’articolo 2946 c.c., la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (L. n. 335 del 1995 cit., articolo 3, comma 9); b) la norma dell’articolo 2953 c.c., non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti. Viene inoltre ad essere sottolineato un principio evidente, ma forse non troppo, ovvero che sia la cartella di pagamento sia gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti dell’Erario e/o degli Enti previdenziali e così via sono atti amministrativi privi dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato; ma soprattutto che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione determina la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, producendo l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito. Ma non può certamente comportare l’applicazione l’articolo 2953 c.c., ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, in quanto tale disposizione si applica alle sole ipotesi in cui un titolo giudiziale sia divenuto definitivo, non avendo la cartella di pagamento attitudine ad acquisire efficacia di giudicato, vista la sua natura di atto amministrativo. La sentenza in commento può dirsi rivoluzionaria non solo perchè offre piena tutela al contribuente, sottratto al rischio di un’esposizione senza limiti temporali all’azione esecutiva del Fisco, ma anche per la vastità dei suoi effetti. Invero, le Sezioni Unite, hanno di fatto inibito la difesa delle Amministrazioni, Agenzia delle Entrate e Inps in primis, nonché degli Agenti della Riscossione, che, da sempre hanno sostenuto nei giudizi di merito l’applicazione dell’art. 2953 c.c. ai propri atti non opposti. Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno chiaramente stabilito che in assenza di un provvedimento giudiziario avente l’attitudine ad acquisire efficacia di giudicato (sentenza, decreto ingiuntivo, decreto o sentenza penale di condanna) non potrà applicarsi la conversione del termine di prescrizione da breve (se previsto) in ordinario decennale, ex art. 2953 c.c., ma troverà applicazione la prescrizione che appartiene al credito portato dalla cartella, in base alla sua natura giuridica. Pertanto se tale termine è quinquennale ex lege, tale resta anche in caso di omessa impugnazione della cartella. E, precisa il Supremo Consesso, ciò a prescindere dalla tipologia di atto stragiudiziale scelto – cartella esattoriale, fermo amministrativo, ingiunzione di pagamento etc – e, indipendentemente dalla natura del credito azionato.

FONTE:MASTERLEX

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