Merci non registrate e non in magazzino? Il parere UE

Giovedì 13 ottobre 2016 

Gli eurogiudici avallano con la sentenza la metodologia di determinazione della base imponibile, prevista dalla normativa fiscale bulgara, nel caso di presunzione di vendite “al nero”
corte ue Protagonista della controversia, approdata dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, è una signora bulgara titolare di una ditta individuale, esercente l'attività di rivendita di generi alimentari e altri prodotti, in Bulgaria. A seguito di un controllo, il Fisco emetteva un avviso di accertamento in rettifica Iva: le irregolarità emergevano dall'incrocio dei dati cliente-fornitori, in quanto molti fornitori avevano emesso fatture nei confronti della ditta, relativamente alla vendita di prodotti di tabaccheria ed alimentari. Tali fatture risultavano registrate nella contabilità degli emittenti, ma non in quella della cliente. L’Amministrazione finanziaria riteneva che la ditta avesse effettivamente ricevuto tali merci e presumeva, data l’assenza di queste ultime nel magazzino e la loro natura (prevalentemente alimentare), che la signora le avesse vendute "a nero". L'atto di accertamento determinava induttivamente la base imponibile delle presunte vendite al dettaglio dei prodotti indicati nelle fatture emesse dai partner commerciali della ditta: tale base veniva individuata – secondo la normativa nazionale – aggiungendo ai prezzi delle cessioni indicati nelle fatture, un margine percentuale, determinato in funzione dei prezzi applicati abitualmente dall’impresa in questione ai prodotti corrispondenti. Il contenzioso nazionale Respinto il ricorso amministrativo, la ditta invocava il giudice, lamentando che la determinazione della base imponibile «per analogia» (ossia: con metodo comparativo) prevista dal diritto nazionale fosse ingiusta. In proposito, sosteneva che la circostanza per cui le fatture di vendita delle merci fossero state contabilizzate dai fornitori non significava necessariamente che i prodotti ivi menzionati le fossero stati consegnati, non sussistendo prova della ricezione delle merci né della successiva rivendita. Il Fisco eccepiva, viceversa, che la contabilità irregolare permetteva di ricostruire mediante presunzioni sia l’esistenza di successive cessioni a terzi delle merci non contabilizzate sia di determinare la base imponibile di tali operazioni. Il giudice, con approccio problematico alla questione, rilevava come la normativa bulgara contenesse norme di determinazione della base imponibile diverse da quelle previste agli articoli da 73 a 80 della direttiva Iva: decideva così di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Il Tribunale bulgaro proponeva le seguenti questioni pregiudiziali, così sintetizzate: se il combinato disposto degli articoli 9, 14 e 273 della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro è autorizzato a presumere l’effettiva assenza di merci (pur consegnate al soggetto passivo) come provocata dalla rivendita delle stesse a terzi, qualora in tal modo si intenda contrastare l’evasione dell’Iva; se uno Stato membro è autorizzato a presumere che la mancata registrazione contabile di documenti fiscalmente rilevanti relativi a forniture imponibili sia finalizzata alla rivendita "al nero" delle merci, come descritta sopra; se uno Stato membro è autorizzato a stabilire basi imponibili per cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo, in deroga alla disciplina generale di cui all’articolo 73 direttiva Iva, qualora in tal modo si intenda fissare la base imponibile per le operazioni interessate con il maggior grado di attendibilità possibile. Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva Iva impedisca ad una normativa nazionale di ritenere che in assenza delle merci nel proprio magazzino ed in assenza di registrazione nella contabilità di tale soggetto passivo, dei documenti fiscali ad esse relativi, l’Amministrazione possa presumere che egli abbia successivamente venduto detti beni a terzi e, per tale via, determinare la base imponibile delle vendite di tali merci in funzione degli elementi di fatto di cui essa dispone, in applicazione di norme non previste dalla menzionata direttiva Iva. Ebbene – secondo la Corte – è d’uopo premettere che l’articolo 242 della direttiva Iva impone ai soggetti passivi di tenere una contabilità adeguata, l'articolo 244 li assoggetta ad un obbligo di archiviazione di tutte le fatture e l’articolo 250 impone loro di presentare una dichiarazione in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’Iva esigibile. Nel caso di specie, l’articolo 122 della normativa tributaria bulgara costituisce uno strumento di lotta contro l’evasione finalizzato - in caso di dissimulazione di cessioni nonché in caso di contabilità omessa o irregolare - alla constatazione dei debiti fiscali ed alla determinazione di una base imponibile più vicina possibile al corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo (criterio della verosimiglianza) in funzione degli elementi fattuali raccolti, quali, ad esempio, il tipo e la natura dell’attività effettivamente esercitata, l’importanza commerciale del luogo di esercizio, i prodotti interessati e le entrate lorde, nonché altre circostanze del caso concreto. Sono rispettati – concludono gli eurogiudici - i principi di proporzionalità e parità di trattamento, in quanto la ricostruzione induttiva della base imponibile è causata dal comportamento fraudolento del soggetto passivo, che non merita agevolazioni probatorie. Queste, in definitiva, le conclusioni a cui giunge la Corte di giustizia: l’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), l’articolo 9, paragrafo 1, l’articolo 14, paragrafo 1, e gli articoli 73 e 273 della direttiva Iva, nonché il principio di neutralità fiscale devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa, ai sensi della quale, in assenza, nel magazzino di un soggetto passivo, delle merci ad esso fornite ed in assenza di registrazione, nella contabilità di tale soggetto passivo, dei documenti fiscali ad esse relativi, l’amministrazione fiscale può presumere che tale soggetto passivo abbia successivamente venduto dette merci a terzi e determinare la base imponibile delle vendite di tali merci in funzione degli elementi di fatto di cui essa dispone, in applicazione di norme non previste dalla menzionata direttiva. Spetta al giudice del rinvio verificare che le disposizioni della normativa nazionale non vadano al di là di quanto necessario al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta sul valore aggiunto e di evitare l’evasione.

 Data della sentenza 5 ottobre 2016 Numero della causa C-576/2015 Nome delle parti Маya Маrinova ET; contro Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Veliko Tarnovo pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite Martino Verrengia

 FONTE:FISCOOGGI

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