Leasing finanziario

martedì 23 febbraio 2016

 Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 5 ottobre 2015 n. 19785, sono intervenute a risolvere una questione di massima di particolare importanza, in ordine ai i vizi della cosa concessa in locazione finanziaria ed alla tutela apprestata all´utilizzatore finale del bene.
La questione principale affrontata dalla S.C., per una maggiore intelligenza del caso, risulta essere questa: se, in caso di leasing finanziario, l'utilizzatore sia legittimato — oltre che a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto — anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale del concedente all'utilizzatore. Per fornire una risposta al quesito, occorre, secondo i Giudici della Suprema Corte, affrontare una prima questione. E’ necessario stabilire infatti quale sia la configurazione strutturale del contratto di locazione finanziaria, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l'esperibilità dell'azione di risoluzione da parte dell'utilizzatore contro il fornitore, (dato che quest'ultimo è considerato anch'egli parte del contratto di compravendita). Il problema si pone, invece, se l'interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore e concedente) e contratto di locazione (tra concedente e utilizzatore), pur riconoscendo l'indiscutibile collegamento esistente tra i due. In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l'utilizzatore, negozio stipulato tra terzi rispetto al quale egli non ha alcun potere d'incidenza. In secondo luogo, continua la Corte, una volta intesa la configurazione strutturale del contratto di locazione finanziaria, bisogna intendere quali siano i rimedi esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto del leasing, sia di quello di fornitura) in una vicenda contrattuale che, nella prassi mercantile, tende ad affermare l'esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell'utilizzatore di accertare la conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). L'istituto della locazione finanziaria si presenta sotto forme e strutture diverse, di volta in volta adattate a realizzare i concreti e disparati interessi degli operatori economici, tradotti in formulari contrattuali che hanno soltanto alcuni punti in comune ma che, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze in campo. E' così che nella generica denominazione di leasing si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, ognuna avente la sua peculiarità, quali il leasing traslativo, di godimento, al consumo, pubblico e quello finanziario immobiliare. Il dato comune a tutti è che, alla base, esiste un'operazione di finanziamento tendente a consentire all’utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all'utilizzatore di soddisfare un interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l'utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l'anticipazione del capitale. Affiancata a questa v'è, necessariamente, un'altra operazione, quella tendente all'acquisto del bene del quale l'utilizzatore intende godere, ossia un'ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente, attraverso la quale il secondo diventa proprietario del bene che darà in locazione all'utilizzatore da lui finanziato. Un risalente orientamento giurisprudenziale tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l'acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell'utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell'esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore. La locazione finanziaria, secondo tale corrente, dà luogo ad un'operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall'affare A fondamento di tale impostazione vi è la circostanza per la quale è proprio l’utilizzatore a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l'obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione. Proprio in virtù di tali considerazioni, il contratto in questione non poteva non ritenersi unitario. In conseguenza di ciò, l'utilizzatore non rimane senza tutela, essendo comunque abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore. La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, superata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leasing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo un diverso e più recente orientamento infatti, l'operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro, quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura: quest'ultimo venendo concluso dalla società di leasing allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l'interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa. E’ proprio l'interesse al godimento da parte dell'utilizzatore della che l'operazione negoziale in questione è sostanzialmente volta a realizzare, costituendone pertanto la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella - parziale - dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso o con il negozio misto. A tale stregua, con la conclusione del contratto di fornitura viene invero a realizzarsi, nei confronti del terzo contraente, quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (e cioè in nome proprio e nell'interesse del mandante). Proprio argomentando dall'art. 1705 c.c., comma 2 (il quale attribuisce al mandante il diritto di far propri di fronte ai terzi, in via diretta e non in via surrogatoria, i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto concluso dal mandatario volte ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) si perviene a fondare (quantomeno) la legittimazione dell'utilizzatore a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. In conseguenza di tale orientamento giurisprudenziale s'è, dunque, ammesso che l'utilizzatore possa agire contro il fornitore per l'adempimento o per il risarcimento, ma s'è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell'obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell'operazione di finanziamento. Intervenute a fare chiarezza, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un'ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore può esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto. Il fondamento logico di tali affermazioni lo si ricava nella circostanza per la quale, dal punto di vista economico, l'operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario, seppure, dal punto di vista giuridico ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s'è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico, tale da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell'altro. E' pur vero che i contratti sono legati da un nesso obiettivo, ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal concedente all'utilizzatore. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. La circostanza, dunque, che sia proprio l'utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l'acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna. Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall'utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all'obbligo del pagamento del canone a carico dell'utilizzatore stesso. Per le ragioni finora esposte le Sezioni Unite hanno escluso pure che l'utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l'azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore. Per quanto concerne la seconda delle questioni da affrontare, posto che l’intera problematica scaturisce dalla preoccupazione che l'utilizzatore, in assenza di clausole contrattuali che gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura, rimanga sfornito di tutela, nell'inerzia del concedente, occorre affrontare anche questo tema. La giurisprudenza unanime riconosce all'utilizzatore il diritto di agire verso il fornitore per il risarcimento del danno. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del credito illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione. Secondo le Sezioni Unite, in tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente. Come è chiaro, tale impostazione tiene conto del fatto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art. 1375 c.c.). Non può non ritenersi sussistente l'obbligo dell'utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, così come deve ritenersi esistente l'obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l'utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi. Diversamente, nel primo caso il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell'utilizzatore. Nel secondo caso invece, laddove ne ricorrano i presupposti, il concedente, informato dall'utilizzatore dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione. Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un'ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore può esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto. In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.
 fonte: camminodiritto .it

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