Ecoreati: evoluzione delittuosa di fattispecie contravvenzionali

sabato 30 GENNAIO 2016 

Finalmente, dopo un iter parlamentare durato più di due anni, il 28 maggio 2015 è stata pubblicata su Gazzetta Ufficiale la legge n. 68, cosiddetta legge sugli ecoreati. Essa ha introdotto il nuovo Titolo VI-Bis nel nostro codice penale, rubricato ´Dei delitti contro l´ambiente´
e ha provveduto a superare quella obsoleta tipizzazione prevista dal D. Lgs. 152/06, il quale riconduceva i fenomeni più pericolosi per l´ambiente nella categoria delle contravvenzioni, apprestando una tutela sanzionatoria ´insignificante´ rispetto all´entità dei fatti considerati. La tutela dell’ambiente rappresenta una questione di interesse planetario. In Italia, particolarmente, il problema si è sempre posto in maniera pressante proprio a causa delle numerose istanze di tutela avanzate dai cittadini e della necessità di darvi una risposta giuridica quanto più adeguata. Nel nostro ordinamento, la normativa di settore, prima dell’emanazione della legge n. 68/2015, pur fornendo un grado minimo di tutela, era tuttavia inadeguata ad affrontare il fenomeno dilagante del crimine ambientale, in quanto consentiva l’accertamento e la sanzionabilità di piccole e singole violazioni, ma non permetteva un intervento investigativo e repressivo efficace nei confronti delle aggressioni all’ecosistema caratterizzate da vastità e continuità dei fenomeni. Sotto questo profilo, è opportuno ricordare che la tutela dell’ambiente sia stata, per anni, affidata a leggi speciali, confluite soltanto nell’ultimo decennio nel Testo Unico sull’Ambiente (D. Lgs. 152/06), nel quale, però, sono state previste solo due ipotesi delittuose: quella ex art. 206, che sanziona il traffico organizzato dei rifiuti, e quella ex art. 256-bis, che sanziona, invece, la combustione illecita di rifiuti, un reato introdotto appena nel 2013, in risposta a quel fenomeno di particolare allarme sociale che, sciaguratamente, attribuì ai territori del casertano e del napoletano la denominazione di Terra dei Fuochi. Per lungo tempo, quindi, la lotta agli illeciti ambientali è stata fatta con la blanda arma delle contravvenzioni, con una tendenza politica trasversale che ha evidentemente ritenuto tale tipologia di reati una risposta adeguata anche per condotte di altissima potenzialità inquinante. Fortunatamente, in presenza di un quadro legislativo di tal fatta, è intervenuta in soccorso la giurisprudenza, la quale, come spesso accaduto in questi ultimi tempi, ha svolto una formidabile attività suppletiva, utilizzando le tradizionali categorie di tutela e riconducendo, inizialmente, molti dei fenomeni inquinanti nell’alveo degli articoli 635 (reato di danneggiamento) e 674 (reato di getto pericoloso di cose) c.p. In presenza dei fenomeni più eccessivi, più dirompenti, si è anche fatto ricorso al delitto di cui all’articolo 434 (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi) c.p., nell’ambito del quale la giurisprudenza di merito e quella di legittimità hanno enucleato la figura del disastro ambientale, ritenendo che ricorresse tale forma delittuosa non solo in presenza di macroeventi di danneggiamento dell’ambiente a carattere violento e dirompente, ma anche dinanzi a fenomeni di progressiva contaminazione dei suoli, delle acque o dell’aria con sostanze nocive per la salute. I risultati raggiunti, tuttavia, non sono stati pienamente condivisi dal Giudice delle leggi, il quale, nella sentenza n. 327/2008, sollevò non pochi dubbi sulla riconduzione del disastro ambientale nell’ambito dell’articolo 434 del c.p., auspicando un tempestivo intervento del legislatore; tuttavia, nonostante il monito della Corte Costituzionale, la riconduzione del disastro ambientale nel delitto ex art. 434 c.p. è divenuta vero e proprio diritto vivente, sebbene anche tale soluzione interpretativa, con gli anni, ha manifestato la sua inadeguatezza, in particolare nei casi in cui gli effetti nocivi della condotta si verificavano a distanza della sua cessazione, per i quali, purtroppo, la risposta di giustizia è stata falcidiata dal decorso dei termini di prescrizione.

 fonte:camminodiritto.it di Antonio Ascolese

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