Apologia dell’ISIS via web: istigazione a delinquere aggravata da finalità terroristica

La prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la pronuncia in epigrafe, ha affermato che integra l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 414 c.p., comma 3, aggravato dalla finalità di terrorismo, la diffusione, a mezzo internet, di documenti, scritti in lingua italiana
e diretti ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti radicati sul territorio nazionale, che incitino al sostegno delle ragioni di un’organizzazione terroristica, esaltandone la sua espansione, e che disvelino collegamenti con personaggi ufficialmente classificati come terroristi nei documenti internazionali. Nel caso di specie, il ricorrente era stato indagato per aver fatto pubblicamente apologia dello Stato Islamico, tramite la diffusione in rete di un documento, redatto in lingua italiana, di propaganda delle attività del Califfato. La Corte ha anzitutto ricordato, come ai fini dell’integrazione del delitto di cui all'art. 414 c.p., comma 3, non sia sufficiente l'esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, occorrendo invece che “il comportamento dell'agente, per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui esso si esplica, appaia tale da determinare concretamente il rischio della consumazione di reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato”. I giudici di piazza Cavour - muovendo dall’assunto che l'apologia possa avere ad oggetto anche un reato associativo, quindi anche il delitto di associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale (art. 270 bis c.p., comma 2) – precisano che l’accertamento del pericolo effettivo è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità qualora sia stato correttamente ed esaustivamente motivato. Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto di non poter accogliere la tesi - sostenuta dal ricorrente - secondo cui il documento sollecitava un’adesione soltanto “ideologica”, ed invero lo scritto propagandistico diffuso in rete presupponeva “la natura combattente e di conquista violenta da parte dell'organizzazione”, esaltando l’espansione del Califfato, anche con l'uso delle armi. Pertanto, ad avviso dei giudici, l'adesione sollecitata nei destinatari non poteva affatto essere considerata una mera manifestazione del pensiero, anzi, la circostanza che il documento fosse scritto in italiano, rivolto quindi ad un pubblico di soggetti radicati sul territorio nazionale, ne tradiva la sua attitudine ad essere in concreto capace di suscitare ampio interesse ed illimitata condivisione. Parimenti infondata la censura relativa all’operatività dello “Stato Islamico” dentro confini geografici suoi propri: la Suprema Corte ha, con riguardo a tale rilievo, osservato che l'apologia di reato oggetto della contestazione, senza alcun dubbio, è stata posta in essere in Italia, ulteriormente precisando che, in ogni caso, ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l'evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l'azione. In particolare – proseguono gli Ermellini - integra “il delitto di associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, la formazione di un sodalizio, connotato da strutture organizzative "cellulari" o "a rete", in grado di operare contemporaneamente in più Paesi, anche in tempi diversi, che realizzi anche una delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali (…), con l'affermazione della giurisdizione italiana in caso di cellula operante in Italia per il perseguimento della finalità di terrorismo internazionale sulla base dell'attività di indottrinamento, reclutamento e addestramento al martirio di nuovi adepti”. Quindi – concludono i giudici della I sezione – in un contesto simile, contrassegnato dalla potenzialità diffusiva indefinita sui siti web di documenti inneggianti ad organizzazioni terroristiche e caratterizzati dalla fruibilità illimitata, la natura pubblica dell’apologia appare pienamente integrata. MB



  CORTE DI CASSAZIONE - PRIMA SEZIONE PENALE, SENTENZA 1 dicembre 2015, n. 47489 fonte: ildirittoamministrativo.com

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