Spese di avvio della mediazione e obbligo di formazione del mediatore. Il Consiglio di Stato ha fatto chiarezza

Mercoledì 25 Novembre 2015

Le spese di avvio della mediazione sono dovute in ogni caso e il mediatore ha l’obbligo di adempiere all’aggiornamento della sua formazione, anche se è avvocato!
In tema di “spese di avvio della mediazione”, il Consiglio di Stato ha statuito che esse sono sempre dovute. Difatti, anche per le residue spese (non le spese vive) estranee al concetto di “compenso”, (inteso quale corrispettivo di un servizio prestato) e quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario, vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie, come risulta anche dal correlato credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al mero primo incontro (art. 20, d.lgs. n. 28/2010). In tema, invece, di “obbligo di formazione degli avvocati ‘mediatori di diritto’”, in virtù del principio cristallizzato nella Direttiva n. 2008/52/CE, nella parte in cui sancisce che “(…) Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”, il Consiglio di Stato ripristina di fatto l’obbligo di seguire l’intero percorso formativo previsto dal D.M. n. 180/2010, sia per quanto riguarda l’obbligo di formazione presso gli enti previsti dal DM, sia per quanto riguarda il tirocinio formativo.

  Il caso Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Quarta Sezione) si è espresso con una sentenza storica in tema di spese di avvio della mediazione e formazione obbligatoria del mediatore. Lo ha fatto sul ricorso in appello n. 2156/ 2015, proposto dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, contro l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore. I due ministeri, chiedendone la riforma previa sospensiva, hanno impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.), aveva parzialmente annullato il D.M. n. 180/2010, recante il Regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi. A sostegno dell’appello è stata dedotta, con 3 distinti mezzi, l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui: 1) ha disatteso l’eccezione preliminare di carente legittimazione in capo all’originaria ricorrente; 2) ha ritenuto illegittimi, e quindi annullati, i commi 2 e 9 dell’art. 16 del precitato decreto, relativi alle spese di avvio ed alle spese di mediazione; 3) ha ritenuto illegittimo, e quindi annullato, l’art. 4, comma 1, lettera b), del medesimo decreto, relativo all’obbligo anche per gli avvocati di svolgere la formazione obbligatoria prevista per i mediatori. Si è costituita così anche l’appellata U.N.C.C. proponendo appello incidentale, censurando la sentenza nella parte in cui è stata respinta, fra le varie questioni di legittimità sollevate dalla ricorrente, quella relativa al contrasto degli artt. 5,comma 2, del citato D.M. con l’art. 24 Cost. 

  La normativa in esame e la ricostruzione giuridica del fatto Giunge dunque all’attenzione della Quarta Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16, d.lgs. n. 28/2010, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge n. 69/2009, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla Direttiva comunitaria n. 2008/52/CE, ripropone un percorso argomentativo sulla scorta della decisione del T.A.R. Lazio, precedentemente investito della controversia. Ricordiamo che il D.M. n. 28/2010 è stato vittima di una serie di interventi giurisdizionali. In primis, la Corte Costituzionale, con sent. n. 272/2012, accoglie l’ipotesi d’illegittimità costituzionale in ordine all’art. 5, primo comma, del decreto, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., ritenendola viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie. Di fatto una battuta d’arresto per la mediazione e per il meccanismo del contenzioso stragiudiziale italiano. In secundis, dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito poi con modificazioni dalla legge n. 98/2013, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del decreto n. 28/2010 il nuovo comma 5-bis, sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione, sia la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione. Insomma, dopo quasi due anni, la mediazione riprende vigore, per lo meno nella teoria, visto che il ricorso a questo strumento, nella pratica, è a dir poco snobbato. Al Consiglio di Stato è toccato un arduo compito, richiamando necessariamente la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio; in particolare, il T.A.R. ha respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio tempore intervenuta, accogliendo il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del D.M. n. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione delle spese di avvio di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto). Tralasciando per ragioni argomentative le motivazioni che hanno spinto il Consiglio ha condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale riproposta, si è dedicata poi alle questioni “calde” del diritto, ritenendo parzialmente fondati il secondo e il terzo motivo di impugnazione, quei punti insomma che probabilmente ci interessano in tema di mediazione “spicciola”. Prima di tutto, nonostante l’infelice (così recita la sentenza) formulazione dalla novella del 2013, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso” (inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”), il Consiglio ha ritenuto censurare il dettato normativo nella parte in cui l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h). Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali le richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”. Tanto premesso, continua il testo letterale della decisione, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro. In sostanza, per chi non volesse analizzare il testo letterale con un vocabolario della lingua italiana, si è deciso per l’obbligatorietà del versamento delle spese di avvio della mediazione in ogni caso, stante il fatto che, nonostante l’infelicità lessicale del legislatore, anche questa voce rientra nel generale “compenso” e nel concetto di spese amministrative per la gestione del procedimento di mediazione; tuttavia, non possono essere ricomprese nel concetto di indennità spettante al mediatore per la sua opera professionale. Un conto, insomma, sono le spese vive documentate, un conto sono le indennità e compensi, un conto sono le spese di avvio di mediazione: comunque, sono tutte dovute, anche in caso di verbale negativo o di espletamento del solo primo incontro. E se la parte non si presenta all’incontro? In tal caso pagherà la parte che ha richiesto il procedimento di mediazione, salvo la richiesta di rimborso alla controparte in un giudizio successivo, sia esso stragiudiziale che giudiziale, tenuto però conto (come recita la sentenza) che: (…), quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro. La sentenza poi, sul punto in esame, specifica ulteriormente che: (…) posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8, d.lgs. n. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio. Con il terzo motivo d’appello, ancora, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione. A tal proposito, coerentemente con il proposito legislativo di ritenere gli avvocati dei veri e propri ‘mediatori di diritto’, con propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, reputa fondate le critiche mosse, sancendo nel dettaglio quanto segue: (…) non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali – i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento. Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate. A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”. In buon sostanza, in ordine al secondo punto, l’obbligo di continua formazione spetta a tutti i mediatori, anche se avvocati e dunque mediatori di diritto.

  Le Conclusioni La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha così pronunciato: a) in tema di “spese di avvio della mediazione”, esse sono sempre dovute. Difatti, anche per le residue spese (non le spese vive) estranee al concetto di “compenso”, (inteso quale corrispettivo di un servizio prestato) e quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario, vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie, come risulta anche dal correlato credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al mero primo incontro (art. 20, d.lgs. n. 28/2010); b) in tema di “obbligo di formazione degli avvocati ‘mediatori di diritto’”, in virtù del principio cristallizzato nella Direttiva n. 2008/52/CE, nella parte in cui sancisce che “(…) Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”, si ripristina di fatto e di diritto l’obbligo di seguire l’intero percorso formativo previsto dal D.M. n. 180/2010, sia per quanto riguarda l’obbligo di formazione presso gli enti previsti dal DM, sia per quanto riguarda il tirocinio formativo, anche in relazione agli avvocati che sono mediatori di diritto. 

 Sent. Consiglio di Stato, 17 Novembre 2015 

fonte: lanuovagiustiziacivile.com di Dott. Giulio Perrotta

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