giovedì 1 ottobre 2015 di Giovanni Valcarenghi e Paolo Noventa
In precedenti interventi su questa testata ci siamo già occupati di un problema che spesso
viene affrontato in modo non del tutto omogeneo dagli operatori e dall’INPS: nel caso vengano
corrisposti compensi occasionali ad un soggetto per ammontari superiori a 5.000 euro (per
singolo committente o per cumulo di committenti) sono sempre dovuti i contributi
previdenziali?
Alla questione vengono fornite risposte differenti, anche interpellando l’Istituto.
Innanzitutto, va fatta una preliminare distinzione, per evitare di creare equivoci.
I compensi per prestazioni occasionali possono corrispondere a due differenti tipologie,
secondo la classificazione proposta dall’articolo 67 del TUIR:
• redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (lettera i);
• redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla
assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
Per convenzione e semplicità, definiamo le prime compensi per attività commerciali
occasionali e le seconde compensi per attività autonome occasionali.
Chiarito ciò, intendiamo affermare che con l’invio delle dichiarazioni fiscali del 2014 si è avuta
conferma del fatto che sulle prime, a prescindere dall’importo, non sono dovuti contributi.
In tal senso, il concetto troverebbe conferma dalla lettura delle circolari INPS n. 9/2004 e
103/2004, ove si afferma che l’imponibilità riguardi unicamente i redditi di lavoro autonomo
occasionale (fiscalmente classificati fra i “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l del
TUIR); viceversa, sarebbero smentite le indicazioni ricevute da alcune sedi periferiche.
Proviamo a pensare, allora, ad un soggetto che segnala occasionalmente un affare; per tale
sua segnalazione riceve dal destinatario una somma pari a 10.000 euro.
Se tutto funziona come detto, nessun contributo INPS è dovuto.
Fin qui non avremmo aggiunto nulla di nuovo ai ragionamenti che già abbiamo fatto a suo
tempo.
Ecco allora che la conferma può essere desunta dalle istruzioni e dai programmi di controllo
che abbiamo recentemente utilizzato per l'invio della Certificazione Unica e del Modello 770
semplificato.
Infatti, nelle istruzioni per la compilazione della CU, nell’elenco delle causali del pagamento,
sono state introdotte delle specifiche del seguente tenore:
• O1 – redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, di non fare o permettere, per le
quali non sussiste l’obbligo di iscrizione alla gestione separata (Circ. INPS n. 104/2001);
• V1 – redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (ad esempio,
provvigioni corrisposte per prestazioni occasionali ad agente o rappresentante di
commercio, mediatore, procacciatore d’affari o incaricato per le vendite a domicilio).
Successivamente, le stesse istruzioni precisano che, nei punti 20 e 21, è necessario indicare
l’importo dei contributi previdenziali dovuti in relazione ai redditi contrassegnati al punto 1
dal codice “C” (associazione in partecipazione) nonché ai redditi annui superiori a euro 5.000
derivanti dalle attività contrassegnate dai codici “M” (lavoro autonomo occasionale), “M1”
(assunzione di obblighi di fare, non fare, permettere) e “V” (provvigioni vendite a domicilio,
porta a porta, vendita ambulante di giornali). Appare evidente che non viene invece richiamato
il codice V1.
Analoga impostazione si ritrova poi nel modello 770.
Per vincere l’ulteriore scetticismo, si potrebbe forzare la compilazione della dichiarazione dei
sostituti di imposta per vedere se il modello “passa” oppure se scattano dei blocchi.
Inserendo un ipotetico ammontare di contributi versati, il controllo Entratel evidenzia un errore
bloccante, segnalando che: “… in presenza di causale diversa da “C” “M” “M1” o “V” il dato non
deve essere compilato”. Il tutto in perfetto raccordo con quanto già proposto dalla
Certificazione Unica.
Visto che ora la situazione parrebbe consolidata, si tratterà di ipotizzare anche possibili
sistemazioni su eventuali comportamenti difformi del passato.
Potrebbe essere accaduto che, nel dubbio, taluno abbia prudenzialmente provveduto ad
operare la ritenuta previdenziale ed al successivo versamento.
Si tratterebbe, allora, di agire come segue:
• individuare il periodo di tempo quinquennale interessato dalle pendenze (per versamenti
più datati dovrebbe essere scattata la prescrizione);
• proporre istanza di rimborso all’Istituto, dettagliando le motivazioni;
• regolare l’aspetto finanziario con la controparte, alla quale sono state trattenute somme
in realtà non dovute;
• svolgere una riflessione in merito all’effetto di tale rettifica: infatti, in capo al mandante
si produrrebbe un maggior reddito derivante dal decremento dei costi a suo tempo
imputati (sopravvenienza attiva tassata), mentre in capo al percettore si potrebbe attivare
l’obbligo di tassazione per il venir meno di un onere deducibile (la quota parte del terzo
dei contributi INPS).
Su piccoli importi non converrà fare nulla, mentre ove le somme in gioco fossero rilevanti,
sicuramente si potrà effettuare un tentativo di rimborso.
FONTE: EUROCONFERENCE NEWS. IT