giovedì 1 ottobre 2015 di Fabio Garrini
La base imponibile dei fabbricati è mediamente quella più semplice da gestire nella
determinazione di IMU e TASI: normalmente si fa riferimento alla rendita catastale che, salvo
interventi sugli immobili, rimane costante nel tempo.
Metodo provvisorio
Quando si configura la fattispecie in commento, è necessario identificare con precisione
l’intervallo temporale entro i limiti del quale è necessario utilizzare il criterio contabile di
determinazione della base imponibile.
Sul punto il Ministero delle finanze con la RM 144/E/97 si è espresso chiarendo che il criterio
in esame è tassativo non solo fino all’anno di imposizione nel corso del quale viene attribuita
ed iscritta agli atti la rendita catastale, ma anche, quando venga annotata negli atti catastali
stessi la “rendita proposta” con procedura DocFa. I successivi chiarimenti ministeriali sono
tornati sul punto ribadendo tale posizione (RM 27/E/98 e RM 35/E/99): a decorrere dal 1°
gennaio dell’anno successivo a quello nel corso del quale è stata attribuita la rendita catastale
o è stata annotata la “rendita proposta”, il valore dei fabbricati deve essere determinato, non
più sulla base dei costi contabilizzati, bensì sulla rendita catastale.
Inoltre, nella RM 27/E/98 era stato affermato come il passaggio dal valore contabile a quello
catastale non potesse in ogni caso avere effetto retroattivo su annualità pregresse, in quanto
metodo alternativo e definitivo. Ciò significava che:
• il minor valore catastale rispetto a quello contabile non può dar luogo a rimborsi
d’imposta in favore del contribuente;
• il maggior valore catastale rispetto a quello contabile non può dar luogo a recuperi
d’imposta da parte del Comune.
Si segnala comunque che tale interpretazione è stata superata da una presa di posizione della
Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. 3160/2011 SS.UU.) che ha completamente cambiato
l’approccio che occorre utilizzare nel valutare la decorrenza degli effetti della rendita
attribuita: il metodo delle scritture contabili, anche se correttamente applicato al verificarsi dei
presupposti stabiliti dalla norma, deve comunque considerarsi provvisorio. In tale pronuncia si
afferma infatti che “l’anno” da cui decorre l’efficacia della rendita deve identificarsi in quello
nel quale il titolare del diritto sul fabbricato ha chiesto all'Ufficio competente di attribuire
all'immobile la rendita catastale. Quindi, una volta attribuita, tale rendita andrebbe a retroagire
sino alla data dell’accatastamento dell’immobile, con la conseguenza che l’imposta pagata
sulla base dei valori contabili risulta corrisposta in via esclusivamente provvisoria, in attesa
della liquidazione definitiva, da compiere attraverso la rendita catastale attribuita.
La conseguenza di tale posizione è quindi la seguente:
• se la rendita fosse maggiore del valore contabile dichiarato, al Comune spetta il diritto
al recupero dell’imposta corrispondente, nel termine quinquennale stabilito dall’art. 1 c.
161 della L. 296/06.
• se al contrario la rendita fosse inferiore al valore contabile dichiarato, il contribuente ha
diritto a presentare istanza di rimborso, secondo i termini stabiliti dall’art. 1 c. 164 della
L. 296/06, ossia cinque anni “dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato
accertato il diritto alla restituzione”. Poiché in questo caso il diritto alla restituzione viene
acclarato con l’attribuzione della rendita, pare lecito concludere che tale termine debba
essere computato dalla data in cui il contribuente viene in possesso di tale rendita (data
di notifica, ovvero presentazione del DocFa).
Da notare che, posto come tali fabbricati abbiano rendite mediamene molto elevate,
conseguentemente le somme in gioco sono davvero significative.
FONTE: www.ecnews.it