sabato 3 ottobre 2015
a cura del Comitato di Redazione
All’indomani del termine di scadenza delle dichiarazioni dei redditi per il periodo di imposta
2014,
lo scenario con cui si possono confrontare gli operatori è quello delle eventuali
correzioni o integrazioni dei modelli trasmessi (trascuriamo, in questa sede, l’eventuale invio
entro i 90 giorni successivi alla scadenza originaria).
In particolare, vorremmo risolvere il seguente dubbio: all’interno di una dichiarazione dei
redditi, quali sono gli eventuali errori emendabili e quali, invece, le semplici scelte?
Il tema appare di attualità dopo la lettura della sentenza n. 19410, depositata dalla Cassazione
lo scorso 30 settembre.
Per comprendere da dove insorga l’interrogativo, si consideri che una società (senza che abbia
qui importanza il periodo di imposta di riferimento):
• ha presentato tempestivamente una dichiarazione dei redditi;
• ha successivamente integrato tale modello, inserendo l’adeguamento agli studi di settore
ma non versando le imposte;
• ha ulteriormente rettificato il modello escludendo il detto adeguamento.
Risultato: l’Agenzia, liquidando la seconda dichiarazione pervenuta, ha inviato cartella
esattoriale al contribuente che, invece, sosteneva la necessità di un formale avviso di
accertamento (eventualmente preceduto dalle procedure di confronto imposte dagli studi di
settore), in quanto la terza (ed ultima) dichiarazione avrebbe sostituito la seconda, con la
conseguenza che la cartella emessa dall’ufficio sarebbe fondata su un modello non più
esistente (appunto, annullato e sostituito dal successivo).
Qui, allora, il tema si fa delicato, in quanto si tratta di comprendere se l’adeguamento agli studi
di settore sia stato evidenziato per errore (così sosteneva la società, imputando tale
accadimento ad un automatismo del software non correttamente “governato” in sede di invio),
oppure sia da considerare una libera scelta.
A tale riguardo, la sentenza afferma:
• la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o
di diritto, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso,
ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria
dell’amministrazione finanziaria (sentenze 3754/2014, 2226/2011, 22021/2006);
• la dichiarazione fiscale non ha, in generale, natura di atto negoziale e dispositivo, ma
reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione
dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti,
costituendo essa un momento dell’iter volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria
(sentenza 15063/2012);
• esigenze di stabilità amministrativa, in relazione alle quali nel passato si è sostenuta la
non modificabilità della dichiarazione, determinano una indebita compressione del
diritto del contribuente all’assolvimento delle imposte sul solo reddito prodotto, in
palese violazione del principio di capacità contributiva; inoltre, tale conclusione si
porrebbe in aperto contrasto con le previsioni dello Statuto del diritto del contribuente;
• nulla osta, quindi, a che la possibilità di emendare la dichiarazione sia esercitata non solo
in virtù delle disposizioni del DPR 322/1998, bensì anche in sede giudiziale di
opposizione alla pretesa tributaria azionata con la iscrizione a ruolo (sentenza
26198/2014).
Sembrerebbe una strada spianata, se non fosse che poi, la medesima sentenza, fornisce
ulteriori precisazioni, proprio in merito alla differenza tra il caso della correzione dell’errore e
quello della manifestazione di una scelta o di una opzione.
Infatti, ci si domanda se – nel caso specifico – si sia davvero dinnanzi ad una dichiarazione di
scienza emendabile. Risulta che (sentenza 25056/2006) il principio di emendabilità e
ritrattabilità di ogni dichiarazione fiscale si riferisce alle sole ipotesi in cui la dichiarazione
risulti frutto di un errore, testuale o extratestuale, di fatto e di diritto, con la conseguenza che
tale errore debba essere allegato, specificato e provato.
Inoltre, l’errore emendabile deve sempre riguardare il contenuto “proprio” della dichiarazione
di scienza, non la manifestazione di volontà implicita nell’esercizio di una opzione offerta dal
legislatore; si cita, al riguardo, il caso dell’opzione – nell’imposta di registro – di dichiarare il
valore automatico o quello prescelto.
Per meglio comprendere, se dichiaro un valore inferiore a quello automatico ed intendo
integrare la dichiarazione, significa che sto esercitando nuovamente una scelta che avevo già
fatto (in modo diverso) al momento della presentazione dell’originario modello.
Con sentenza 1128/2009, fu anche affermato che l’emendabilità risulta ammissibile quando il
contribuente, senza la medesima, verrebbe assoggettato ad oneri contributivi diversi e più
gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico; tale principio, tuttavia,
non può trovare ingresso nell’ipotesi di successivo ripensamento dovuto ad una differente
valutazione della convenienza fiscale, ipotesi del tutto differente rispetto a quella dell’errore.
Ed, infine, con sentenze 1427/2013 e 7294/2012, si è ulteriormente precisato che – quando il
Legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di
volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la
compilazione di un modulo predisposto dall’Erario, la dichiarazione assume per questa parte il
valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il
contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione.
In sostanza, come si sarà compreso, poiché il contribuente ha sostenuto che, nella seconda
dichiarazione, l’adeguamento agli studi di settore è stato frutto di un “non voluto” automatismo
informatico, la Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate e ritiene valida l’iscrizione a
ruolo con cartella.
Possiamo allora giungere alle conclusioni.
Certamente il confine tra errore e ripensamento appare davvero labile; tuttavia, superando la
specificità del caso in analisi, non possiamo esimerci dal valutare la correttezza delle
conclusioni cui giunge la Corte in merito agli studi di settore. Siamo davvero convinti che
l’adeguamento possa rappresentare una scelta “libera” connessa ad un beneficio fiscale? La
domanda non ci pare infondata per il semplice motivo che l’adeguamento (effettuato in
dichiarazione oppure già naturalmente presente dalle risultanze delle scritture contabili) non
apre le porte ad alcuna situazione di immodificabilità della posizione del contribuente. Se,
infatti, fossero riscontrate anomalie nei dati l’accertamento sarebbe sempre possibile e, al di
fuori della applicabilità del regime premiale, potrebbero essere anche effettuati accertamenti
di natura analitico – induttiva.
Pertanto, ferma restando la correttezza delle indicazioni generali, nel caso specifico dell’errore
sull’adeguamento agli studi di settore ci pare di poter dubitare della qualificabilità dello stesso
come libera opzione che consenta di raggiungere un determinato status fiscale.
Conosciamo però il parere delle giurisprudenza e, per conseguenza, abbiamo gli strumenti per
effettuare una valutazione completa.
FONTE: ECNEWS.IT