Non hai provveduto al versamento di alcune tasse per svariate annualità. Così ti è arrivato l’avviso di accertamento e, con esso, l’intimazione a pagare, oltre l’imposta, anche gli interessi e le sanzioni. Poiché hai fatto decorrere i termini che ti sono stati dati dal fisco per ovviare alla morosità, ti è arrivata la famigerata cartella esattoriale. Anche in questo caso, però, non avendo i soldi per adempiere o per fare ricorso, non hai potuto far altro che ignorare l’avviso. Ora, dopo oltre un anno dall’arrivo di quella cartella, ti è arrivata l’intimazione di pagamento da parte di Agenzia Entrate Riscossione. Con essa ti vengono dati solo 5 giorni di tempo per pagare. Avvisato del fatto che, in caso contrario, subirai le azioni esecutive, hai deciso di non rischiare: non puoi permetterti né il blocco dell’auto o un’ipoteca sulla casa, né tantomeno il pignoramento dello stipendio o del conto corrente. Non hai altra strada che fare ricorso al giudice. Nel tuo arco ci sono svariate frecce: innanzitutto alcune imposte sono prescritte; inoltre la diffida che hai appena ricevuto fa riferimento a cartelle esattoriali che non ti sono mai state notificate. Il tuo avvocato ti ha garantito che si tratta di una causa vinta. È il momento di passare ai fatti e di stabilire come fare opposizione contro l’intimazione di pagamento per cartelle non pagate. In questo articolo ti forniremo alcuni importantissimi chiarimenti che sono stati di recente forniti da una sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sent. n. 613/04/18.
La prima questione che devi sapere è cos’è l’intimazione di pagamento. Si tratta di un avviso che l’agente della riscossione è tenuto a notificare al contribuente tutte le volte che, decorso oltre un anno dalla notifica della cartella di pagamento, intende avviare le azioni esecutive. La cartella, infatti, ha un tempo di validità di 365 giorni, scaduti i quali deve essere “rinnovata” con un ulteriore sollecito spedito allo stesso destinatario. Questo sollecito si chiama appunto “intimazione di pagamento”. Senza di esso ogni azione esecutiva dell’esattore è illegittima.
Le differenze principali tra cartella esattoriale e intimazione di pagamento sono:
ci sono 60 giorni di tempo per pagare la cartella esattoriale; nel caso invece dell’intimazione solo 5 giorni. Scaduti tali termini, l’agente della riscossione può avviare il pignoramento o le azioni cautelari;
la cartella, come abbiamo detto, ha un termine di efficacia di 1 anno dopo il quale è necessario inviare una intimazione di pagamento; invece, l’intimazione di pagamento ha effetto solo per 180 giorni dopo i quali deve essere seguita da una ulteriore intimazione. E così via.
Sia la cartella che l’intimazione di pagamento possono essere impugnati: si può cioè contestarli davanti al giudice per ottenerne l’annullamento. Tuttavia, è bene sapere che contro l’intimazione di pagamento non si possono sollevare i motivi di opposizione che si sarebbero potuti azionare contro la cartella. E questo per una ragione molto semplice: se così fosse, si finirebbe per dare al contribuente una seconda possibilità di contestare la cartella anche dopo la scadenza dei 60 giorni. Il che sarebbe contraddittorio: non avrebbe cioè senso assegnare un termine perentorio (quello di 60 giorni) per l’impugnazione della cartella se tale termine può essere “riaperto” impugnando la successiva intimazione di pagamento. Così è intervenuta la sentenza in commento la quale ha specificato il seguente principio: le uniche contestazioni che si possono sollevare contro l’intimazione di pagamento riguardano solo i vizi di tale atto (i cosiddetti “vizi propri”) e non già quelli della precedente cartella esattoriale. Decorsi infatti i 60 giorni dalla sua notifica, la cartella diventa definitiva e il contribuente decade dalla possibilità di contestarla anche se dovesse successivamente ricevere l’intimazione di pagamento.
Quali sono i possibili motivi che consentono di contestare l’intimazione di pagamento? Si tratta di tutto ciò che si è prodotto dopo la notifica della cartella o che attiene alla notifica stessa della cartella. Ad esempio, l’intimazione di pagamento può essere impugnata perché:
la precedente cartella non è mai stata notificata: tutto il procedimento amministrativo, difatti, segue un inter preordinato e rigoroso, per cui la mancanza o l’irregolarità di un solo tassello determina la nullità dell’intera procedura;
la precedente cartella si è prescritta: succede quando l’intimazione di pagamento viene notificata numerosi anni dopo la cartella i cui tributi, nel frattempo, sono caduti in prescrizione (i termini variano da 10 anni per Irpef, Iva, Irap, bollo e registro a 5 anni per Imu, Tasi, Tari, multe e sanzioni, contributi previdenziali e assistenziali, per finire a 3 anni per bollo auto).
Non si può invece contestare l’intimazione di pagamento perché l’avviso di accertamento, quello notificato a monte dall’ente titolare del credito (Agenzia Entrate, Inps, ecc.) è viziato o non è mai arrivato; né lo si può contestare per la tardività della notifica della cartella (il che avviene quando l’amministrazione è decaduta dal diritto al recupero del credito per aver notificato la cartella dopo due o tre anni dall’iscrizione a ruolo del tributo). Ed ancora non si può contestare l’intimazione di pagamento se la cartella non indica il responsabile del procedimento o il criterio di calcolo degli interessi. Si tratta, infatti, di vizi attinenti alla regolarità della cartella medesima che, ormai, sono divenuti definitivi con il decorso dei 60 giorni.
Anche la Cassazione ha sostenuto la stessa tesi con una recente ordinanza n. 9219 del 13/4/2018: in essa si legge che, in mancanza di autonoma impugnazione della cartella, la successiva intimazione di pagamento può essere impugnata soltanto per vizi suoi propri e non per vizi della notifica della cartella e per questioni concernenti il decorso del termine di decadenza relativo alla sua notifica. Con la conseguenza che la pretesa di pagamento del fisco è da considerarsi ormai definitiva.
fonte:LALEGGEPERTUTTI