Mercoledì 7 ottobre 2015 di Sergio Pellegrino
Il trust può essere anche utilizzato nella separazione coniugale per garantire l’adempimento
dell’obbligazione di mantenimento nei confronti dei figli.
Il trust può svolgere un ruolo importante nell’ambito delle molteplici esigenze della famiglia,
non soltanto nelle fattispecie, che abbiamo già analizzato, della tutela di un soggetto debole
piuttosto che della trasmissione del patrimonio ai discendenti, ma anche quando la famiglia
va in “crisi” e si pone il problema, spesso delicato, della garanzia dell’adempimento
dell’obbligazione di mantenimento dei figli.
Accade infatti che gli obblighi assunti dai genitori nell’accordo raggiunto in sede di separazione
consensuale (o conseguenti alle condizioni definite dal giudice nel caso della giudiziale) non
vengano successivamente rispettati, con grave evidente nocumento per i figli.
Si può porre allora l’esigenza in capo al genitore “debole” di ottenere dal coniuge dal quale si
sta separando un’idonea garanzia patrimoniale circa l’effettivo versamento degli assegni
periodici che debbono da questi essere corrisposti.
Nel caso in cui il coniuge disponesse, ad esempio, di un immobile, questo potrebbe essere
fungere da garanzia dell’adempimento dell’obbligazione. Ed il trust potrebbe essere lo
strumento da utilizzare efficacemente a tale scopo.
Potrebbe infatti essere istituito un trust di garanzia nel quale il disponente, e cioè il coniuge
tenuto a versare gli assegni periodici, disporrebbe l’immobile (o gli immobili) di proprietà per
fornire la garanzia dell’osservanza dell’obbligo assunto.
Al trustee sarebbe in questo caso affidato il compito di gestire il bene con la finalità di
utilizzarlo per sostituirsi al genitore inadempiente e garantire in questo modo, in caso di
necessità, il mantenimento dei figli, che sarebbero i beneficiari del trust così strutturato.
Aspetto interessante è che oggetto di disposizione potrebbe essere la stessa casa familiare già
assegnata all’altro coniuge, pur essendo questa assegnazione “prevalente” rispetto a qualsiasi
atto di trasferimento dell’immobile (compreso quindi anche quello di disposizione in trust).
Il trustee in questo caso avrebbe quindi la proprietà di un bene già oggetto di vincolo e,
soltanto venuta meno la particolare condizione di casa familiare, legata alle prioritarie
esigenze dei figli, ne potrebbe disporre pienamente.
Nel mentre avrebbe infatti un bene che, gravato dal vincolo anzidetto, in caso di necessità,
ossia per far fronte alla funzione di garanzia, potrebbe essere realizzato con difficoltà e ad un
valore ridotto rispetto a valore effettivo.
Per quanto riguarda la scelta del trustee, se nella maggior parte dei casi, come abbiamo
evidenziato in altri contributi, è altamente raccomandato che questi venga ricercato al di fuori
dell’ambito familiare, per garantire quella autonomia nella gestione del patrimonio in trust
fondamentale per poterlo considerare legittimo, ed è generalmente opportuno che venga
individuato un trustee professionale, nel caso di specie questo costo potrà essere
“tranquillamente” risparmiato: il “miglior” possibile trustee è già in casa - nel vero senso della
parola … - ed è l’altro coniuge, che difficilmente potrà essere considerato “succube” del
disponente o soltanto condizionabile.
Quali le possibili alternative al trust offerte dal nostro ordinamento? Nessuna ad onor del vero
altrettanto efficace.
Non l’ipoteca, che, attraverso l’apposizione del vincolo sul bene, “funziona” dal punto di vista
dell’aspetto della garanzia, ma passando, in caso di necessità, attraverso il procedimento di
esecuzione, con i relativi tempi e costi (oltre al fatto che limita fortemente la possibilità di
circolazione del bene), non la fideiussione, in quanto il patrimonio del garante potrebbe non
essere capiente nel momento dell’eventuale necessità.
FONTE: www.ecnews.it