Lo scorso 9 ottobre 2015 la Cassazione ha depositato la sentenza 20251
avente ad oggetto
una controversia tra l’Agenzia delle entrate ed un professionista (nello specifico avvocato),
all’interno della quale si torna a parlare della motivazione dell’avviso di accertamento e delle
conseguenze che si producono in caso di assenza della medesima all’interno dell’atto con cui
il fisco fa valere la pretesa tributaria.
Da quanto è possibile comprendere dal testo della sentenza, le contestazioni (peraltro riferibili
a periodi di imposta molto risalenti nel tempo) nascono dal riscontro dell’esistenza di un
disallineamento tra la dichiarazione IVA ed il quadro RE del modello Unico del contribuente,
unitamente all’esistenza di prelevamenti ingenti non giustificati dal conto corrente.
Se, come è vero, si fatica a comprendere i reali contorni della vicenda, significa che pari
confusione aveva caratterizzato gli originari atti dell’amministrazione; proprio da tale punto
possiamo partire, per affermare che non risulta sufficiente (per giustificare dal punto di vista
giuridico un accertamento) l’esistenza di una situazione palesemente confusa nella posizione
del contribuente, ma l’amministrazione deve “sforzarsi” di esercitare con precisione e puntiglio
l’esposizione delle ragioni per le quali ritiene fondata l’ipotesi di sottrazione di materia
imponibile. Nello specifico, a fronte della soccombenza in CTP, l’avvocato era riuscito ad
ottenere soddisfazione in CTR in quanto l’avviso era stato ritenuto privo di motivazione (con
al conseguente necessità di una sua nullità), in quanto l’Ufficio non aveva indicato:
1) le ragioni per cui il disallineamento tra posizione IVA e posizione reddituale potesse
giustificare una ripresa;
2) le ragioni per cui era stato contestato un maggior imponibile in misura pari alle
movimentazioni finanziarie non giustificate (versamenti e prelevamenti).
La difesa per Cassazione dell’Agenzia si è fondata sui seguenti elementi:
• la semplice discrasia tra il dichiarato nei comparti IVA e dirette, così come l’esistenza di
movimenti non tracciati sui conti rappresenta circostanza di fatto oggettiva;
• tale situazione determina a capo del contribuente l’obbligo di giustificazione (assente nel
caso specifico) con la conseguenza che l’onere a carico dell’Ufficio sarebbe stata assolta.
Diversamente, i Giudici ritengono che, nonostante l’articolo 54 del DRP 633/1972 permetta la
rettifica della dichiarazione anche per effetto dell’esistenza di “segnalazioni qualificate”, ciò
non significa che l’Ufficio sia completamente esonerato dalla indicazione delle fonti del
proprio convincimento, del motivo per cui tali circostanze possano logicamente fondare tale
sospetto. In sostanza, nella sentenza non si condivide la tesi della natura meramente
processuale della motivazione, con la conseguenza che la medesima avrebbe l’unica funzione
di affermare la pretesa tributaria, generando in capo al contribuente l’obbligo di costruire la
propria difesa, a condizione che fossero almeno noti gli elementi essenziali per determinare
l’an ed il quantum debeatur. Diversamente, si riscontra che l’articolo 7 dello Statuto del
contribuente dispone che l’amministrazione è obbligata ad indicare i presupposti di fatto e di
diritto che hanno determinato la costruzione dell’atto, pur se non risulta indispensabile fornire
con precisa puntigliosità tutti gli elementi di prova, che possono subentrare anche nel
momento della discussione.
Ciò determina che la motivazione attiene all’elemento della sostanza e non a quello della
forma dell’atto; non si tratta dunque di una mera provocatio ad opponendum, bensì di un
elemento essenziale sulla cui base va definito il thema decidendum e probandum
dell’eventuale giudizio di impugnazione.
Si afferma in modo ancor più chiaro che la motivazione deve consentire il controllo interno e
giurisdizionale dell’atto, al fine di valutare la correttezza dell’operato dell’amministrazione.
Da ciò quindi deriva la immodificabilità della motivazione nel corso della causa, così come
l’invalidità della pretesa tributaria nel caso di assenza della motivazione o di una sua evidente
inidoneità. Al di là di un frequente utilizzo di locuzioni “raffinate” le affermazioni della
sentenza ci piaccio e ci paiono basilari per poter concludere che anche l’amministrazione
finanziaria (ove mai ve ne fosse dubbio) deve rispettare specifici oneri nel compimento dei
propri atti, consentendo al contribuente di poter validamente esercitare il proprio diritto di
difesa. Se così non fosse si finirebbe per sconfinare nell’arbitrio; non basta, dunque, il fiuto del
verificatore o la semplice intercettazione di circostanze “sospette” ma bisogna indicare in modo
preciso i motivi per cui tali elementi possono ragionevolmente fondare la pretesa tributaria.
Fatta questa fatica in capo all’Agenzia, risulta giustificata anche la fatica che dovrà fare il
contribuente per organizzare la propria difesa.
fonte: www.ecnews.it