Voluntary disclosure e cassette di sicurezza

Venerdì 04 settembre 2015 di Stefano Natali 
La Circolare n. 27/E/2015 dell'Agenzia delle Entrate chiarisce alcuni aspetti relativi alla voluntary disclosure ma resta il rebus delle cassette di sicurezza. 

L'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 27/E del 16.07.2015, risponde ad alcuni quesiti in tema di voluntary disclosure: uno di questi (paragrafo 2.9) è rubricato: "Emersione di contante o altri valori depositati in cassette di sicurezza". La risposta fornita dall'Agenzia delle Entrate al quesito se sia possibile far emergere, nell'ambito della procedura di collaborazione volontaria, somme detenute in Italia in cassette di sicurezza o in altri luoghi, fornisce lo spunto per alcune considerazioni. In primo luogo, viene chiarito che la procedura di collaborazione nazionale è volta a consentire di regolarizzare in modo spontaneo tutte le violazioni fiscali commesse in annualità ancora accertabili e non può in alcun modo essere utilizzata per ottenere una certificazione circa l'irrilevanza fiscale di valori posseduti al di fuori del circuito degli intermediari (come appunto il denaro contante). Sul punto l'Agenzia delle Entrate afferma che il denaro contenuto in una cassetta di sicurezza che non è mai stata aperta dopo il 31.12.2009 (in caso di regolare presentazione della dichiarazione dei redditi per tale anno) non rileva ai fini della procedura di collaborazione volontaria. Se, invece, il denaro fosse stato precedentemente detenuto in un Paese Black list e fosse stato successivamente trasferito in Italia dovrà necessariamente essere indicato nella relazione accompagnatoria al fine di fornire prova della sua dismissione totale o parziale. L'Agenzia delle Entrate sostiene che la prova del trasferimento di denaro può essere data unicamente attraverso il suo versamento su un conto corrente appositamente dedicato; in pratica, l'operazione deve essere "tracciata" con l'intervento di un intermediario autorizzato. Il problema che si pone è dare prova (anche solo "indiretta") del trasferimento del denaro dall'estero all'Italia, che in taluni casi potrebbe essere difficoltosa se non impossibile. Pensiamo al caso in cui il denaro sia stato trasferito da una cassetta detenuta all'estero ad una detenuta in Italia, passando però per un periodo di tempo in cui il denaro sia stato custodito dal contribuente nella propria abitazione. E' evidente che in tal caso risulta assai arduo fornire la prova del trasferimento. Nel caso in cui il contribuente volesse far emergere il contante al fine della regolarizzazione, una parziale soluzione al problema potrebbe essere quella dell'apertura della cassetta di sicurezza alla presenza di un notaio per certificarne la data di apertura e la verifica del suo contenuto, prima di procedere al versamento delle somme sul conto corrente. Un ulteriore nodo da risolvere è quello degli anni di imposta cui imputare i redditi fatti emergere con la regolarizzazione. Come poter dimostrare che una somma di denaro che emerge da una cassetta di sicurezza è il probabile frutto di evasione fiscale riferibile a più annualità d'imposta? D'altronde non pare corretto imputare tali redditi interamente all'anno oggetto di emersione, quanto meno per il rispetto del principio di capacità contributiva. Ecco allora che la soluzione al problema dovrà necessariamente passare da un rapporto di fiducia tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sempre ovviamente nel rispetto della ragionevolezza. Il nuovo rapporto di collaborazione tra Fisco e contribuente sarà messo alla prova anche da queste situazioni.

Fonte: Sistema Ratio Centro Studi Castelli 

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