sabato 26 settembre 2015 di Luca Vannoni
Con la pubblicazione nella G.U. n.221 del 23 settembre, S.O. n.53, sono in vigore gli ultimi 4
decreti del Jobs Act, dedicati, in particolare al riordino della normativa in materia di
ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, con il D.Lgs. n.148 del 14 settembre
2015, alla razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e
legislazione sociale, con il D.Lgs. n.149 del 14 settembre 2015, al riordino della normativa in
materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, con il D.Lgs. n.150 del 14 settembre 2015
e, infine, alla razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico
di cittadini ed imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità,
con il D.Lgs. n.151 del 14 settembre 2015.
Come emerge da una prima, sommaria analisi, i provvedimenti emanati riguardano vaste e
fondamentali aree dell’ordinamento giuslavoristico: sicuramente, i provvedimenti che
impatteranno maggiormente nell’attività professionale della consulenza del lavoro e nella
gestione del personale sono il D.Lgs. 148/2015, in materia di ammortizzatori sociali, e il D.Lgs.
151/2015, che introduce un consistente numero di modifiche volte alla semplificazione della
gestione dei rapporti di lavoro.
In questa prima analisi, mi soffermerò proprio sull’ultimo decreto citato, e, in particolare, sulla
disposizione che più ha fatto discutere nelle fasi di gestazione del provvedimento relativa ai
controlli dei lavoratori.
Il quadro normativo previgente si caratterizzava da una norma del 1970, l’art. 4 dello Statuto
dei Lavoratori, che ormai da qualche anno manifestava tutte le sue difficoltà nel normare e
includere nella propria competenza le odierne tecnologie e strumentazioni. Tenuto conto
anche della continua evoluzione dell’organizzazione del lavoro, la giurisprudenza sulla materia
si è sempre caratterizzata da forti contrasti e incertezze, tanto da rendere, come è avvenuto,
ineludibile un intervento di riforma.
La riforma dell’art. 4 innanzitutto si fonda su una miglior specificazione delle forme di
controllo, comunque indirette, in quanto la valutazione della prestazione non può esserne
l’oggetto e il motivo: gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la
possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati
esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la
tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato
dalla RSU o dalle RSA.
Da un punto di vista della procedura per la attivazione degli impianti o strumenti di controllo,
sono state espressamente normate importanti disposizioni anticipate in via di prassi dal
Ministero del Lavoro: in mancanza di accordo con le associazioni sindacali comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale, si può procedere con l’installazione previa
autorizzazione della DTL o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate
negli ambiti di competenza di più DTL, dal Ministero del Lavoro.
Particolarmente interessante la deroga introdotta dal D.Lgs. 151/2015: gli strumenti utilizzati
dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, come pc e smartphone, e agli strumenti di
registrazione degli accessi e delle presenze non devono essere oggetto delle procedure
autorizzative sopra previste.
Nell’attesa che il Ministero del Lavoro emani le proprie istruzioni, particolarmente rilevanti
stante il ruolo nel procedimento autorizzativo, è opportuno evidenziare che ora la legge
prevede espressamente la possibilità di utilizzare le informazioni raccolte con gli strumenti di
controllo, da autorizzare o non, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia
data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di
effettuazione dei controlli e nel rispetto delle disposizioni in materia di privacy. Proprio il
Garante della Privacy, con una serie di dichiarazioni, ha espresso le proprie perplessità
sull’estensione dell’utilizzabilità dei dati acquisiti, in particolare ai fini disciplinari nei confronti
del lavoratore. Al di là delle diverse opinioni, la norma ora da maggiori certezze al datore di
lavoro nell’utilizzo di eventuali dati da cui emergano evidenti comportamenti disciplinarmente
e penalmente rilevanti, che, nel recente passato, hanno trovato esiti contrastanti nella loro
valutazione giudiziale.
Inoltre, è opportuno precisare che nulla è stato previsto in materia di internet e posta
elettronica, materia sulla quale è necessario rispettare i principi in materia di protezione dei
dati, previsti dal D.Lgs. n.196/2003, di liceità, correttezza, necessità, pertinenza, completezza e
non eccedenza.
La sanzione, contenuta nel codice della privacy, per le violazioni delle disposizioni sopra citate
è quella dell’art.38 dello Statuto dei lavoratori che prevede che le stesse siano punite, salvo
che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da 154 a 1.549 euro o con l’arresto
da 15 giorni ad 1 anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate
congiuntamente e la sentenza di condanna è pubblicata. Quando, per le condizioni economiche
del reo, l’ammenda possa presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice può
aumentarla fino al quintuplo.
FONTE: www.ecnews.it