di Alberto Bortoletto - 28 Luglio 2015
Il D.Lgs. 81/2015, in attuazione del c.d. Jobs Act, ha introdotto alcune modifiche anche alla disciplina del contratto di
lavoro intermittente.
Tale tipologia contrattuale, nota anche come Job on Call, riguarda quel rapporto attraverso il quale il dipendente si
rende disponibile a prestare la propria attività lavorativa su chiamata del datore di lavoro.
Il decreto in esame (all'art. 13 D.Lgs. 81/2015) ha previsto espressamente la non applicazione di questi contratti a
chiamata "ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni".
Vale la pena però precisare che è rimasta invariata la possibilità di stipulare il lavoro intermittente sia a tempo
determinato che indeterminato, mantenendo il ruolo dei contratti collettivi nell'identificazione delle circostanze di
attuabilità di tale rapporto. È opportuno, tuttavia, evidenziare che i contratti collettivi cui si fa riferimento non saranno
più solo a livello nazionale o territoriale, ma potranno riferirsi anche al livello aziendale.
In assenza della contrattazione collettiva, sarà competenza del Ministero del Lavoro individuare i casi di utilizzo dei
contratti a chiamata, mediante decreto; tale intervento sarà previsto in via definitiva e non più in via provvisoria.
Rimane immutata anche la presenza dei requisiti anagrafici previsti (età inferiore a 24 anni o superiore a 55), e la
durata complessiva ammessa nel rapporto intermittente di 400 giornate di effettivo lavoro nell'arco di un triennio solare,
escludendo dal suddetto limite i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
L'inosservanza della durata
massima comporta la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Nella nuova riscrittura del lavoro a chiamata, oggetto di particolare interesse sembra essere la possibilità di adottare o
meno le ipotesi oggettive previste dal Regio Decreto 2657/1923.
Quest'ultimo, reintrodotto da un decreto ministeriale del
2004, era stato adottato al fine di individuare le attività discontinue per le quali si sarebbe potuto ricorrere al contratto
intermittente.
La diatriba sorta sul tema si intende risolta grazie all'art. 55 c. 3 del D.Lgs. 81/2015 dal quale si deduce la possibilità di
poter adottare contratti a chiamata facendo riferimento al D.R. nei casi in cui la contrattazione collettiva ne abbia o meno
disciplinato l'utilizzo.
Ciò significa che, in mancanza di normativa individuata dalla contrattazione collettiva, oltre ai requisiti soggettivi inerenti
all'età, sarà prevista la possibilità di stipulare i contratti intermittenti facendo riferimento al Regio Decreto.
Per quanto concerne la forma e le comunicazioni non è più necessario che le parti debbano recepire le indicazioni
contenute nei contratti collettivi - se previste - ma sarà necessario che la comunicazione del datore di lavoro,
effettuata annualmente, sia compiuta nei confronti delle RSA o delle RSU.
Novità rispetto alla precedente disciplina è l'esclusione del "congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai
contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro" in capo al dipendente che si rifiuti ingiustificatamente alla
disponibilità di chiamata, prevedendo la possibilità di licenziare il lavoratore e di restituire la quota di indennità di
disponibilità.
Da ultimo preme sottolineare che il computo nell'organico dei lavoratori intermittenti (calcolato in base all'orario
effettivamente svolto nell'arco del semestre) fa riferimento a qualsiasi disciplina contrattuale (ad esempio per i permessi
sindacali), e non più unicamente a quella di fonte legale (per esempio nei casi di licenziamento illegittimo).
FONTE: SISTEMA RATIO CENTRO STUDI CASTELLI