di Gianni Mario Colombo
La raccolta fondi dalle imprese sta assumendo sempre maggiore importanza nei piani di raccolta degli enti.
Una partnership con un'impresa for profit potrebbe essere caratterizzata da varie tipologie di collaborazione, fra cui le
principali e più comuni sono:
• erogazioni liberali;
• donazioni di beni e servizi;
• donazioni di tempo da parte del personale dell'impresa for profit (volontariato d'impresa);
• cause related marketing (CRM) (con cui si intende un'attività di marketing nella quale la donazione è subordinata alla
transazione, cioè al ricevere un bene in cambio del denaro);
• sponsorizzazioni;
• payroll giving (con il quale l'azienda propone ai dipendenti di devolvere, per esempio, un'ora del proprio lavoro ad una
iniziativa sociale attraverso una trattenuta nella busta paga);
• match giving (con il quale l'azienda si impegna ad aggiungere alla somma complessivamente donata dai dipendenti un
ammontare di pari importo oppure di una sua parte);
• realizzazione di eventi in partnership.
Premesso che in questo delicato rapporto tra ente non profit e imprese ciò che rileva fiscalmente è l'esistenza di un
rapporto sinallagmatico tra i due soggetti (e, quindi, la possibilità che si configuri l'esercizio di attività commerciale in
capo all'ente non profit) anziché di liberalità che esclude un rapporto di reciprocità delle operazioni teste´ citate, quelle
che ci sembrano più significative sotto il profilo fiscale sono le seguenti:
sponsorizzazioni; cause related marketing; realizzazione di eventi in partnership;
La forma più insidiosa sotto il profilo fiscale è il cause related marketing ed è di questa che intendiamo parlare in questa
sede. Il cause related marketing rappresenta una tecnica di marketing commerciale volta ad intervenire sul sociale
anziché sul prodotto. Le forme sono le più svariate, ma, nella sostanza, l'impresa sostiene l'ente non profit mediante
la vendita di un suo prodotto, con il logo dell'ente, e ristornando parte del ricavato o finanziando un progetto sociale
all'ente secondo precisi accordi. In alcuni casi, l'utilizzo (cessione) del marchio è evidente, in altri meno, ma è comunque
chiara la commercialità dell'operazione (spingere la vendita del prodotto). L'Amministrazione Finanziaria, con la
risoluzione 14.11.2002, n. 356, ha chiarito che laddove l'ente non profit consenta l'utilizzo della propria denominazione
dietro il versamento di una somma di denaro, di fatto finisce per porre in essere un'attività riconducibile nello schema
negoziale della sponsorizzazione, che rileva, ai fini fiscali, come attività commerciale. A ciò si aggiunga che qualora
parte del contratto in parola sia una Onlus, nella risoluzione citata l'Agenzia delle Entrate giunge alla seguente
conclusione: "Si segnala altresì al riguardo che qualora l'ente che concede l'utilizzo del proprio marchio sia una Onlus,
detta attività (a meno che non rientri nelle condizioni e limiti previsti dall'art. 108, c. 2-bis, lett. a) del TUIR), dovrebbe
ritenersi ad essa non consentita, pena la perdita della qualifica di Onlus". Ne consegue che, in linea generale, l'attività
negoziale di sponsorizzazione è (fiscalmente) vietata alle Onlus ad eccezione di particolari situazioni che l'Agenzia
stessa precisa nel modo seguente: "Solo qualora l'iniziativa assunta, che preveda tra l'altro la possibilità di associare il
marchio dell'impresa sponsor al logo dell'ente non profit, fosse riconducibile nell'ambito di una raccolta occasionale di
fondi, promossa dallo stesso ente, si potrebbe ritenere che i proventi (contributi) in questione non assumano rilevanza
reddituale".
Fonte: Sistema Ratio Centro Studi Castelli