Sabato 13 giugno 2015
La nuova disciplina, introdotta dalla L. 69/2015, pare decisamente rigorosa per le quotate, mentre risulta non particolarmente afflittiva nelle altre società
Sarà in vigore da domani (14 giugno 2015) la nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali. La L. n. 69/2015 – recante “disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio” – sostituisce gli artt. 2621 e 2622 c.c. e inserisce nel codice civile i nuovi artt. 2621-bis e 2621-ter.
In via generale, si distingue tra false comunicazioni sociali in società “non” quotate (art. 2621 c.c.) e false comunicazioni sociali in società quotate e ad esse equiparate (art. 2622 c.c.), sanzionando entrambe le fattispecie come delitti; si prevedono, inoltre, in relazione alle sole false comunicazioni sociali in società non quotate, ipotesi attenuate per fatti di lievi entità (art. 2621-bis c.c.) e di non punibilità per particolare tenuità (art. 2621-ter c.c.).
In pratica, si passa da una differenziazione fondata sull’esistenza o meno di danni nei confronti della società, dei soci o dei creditori (situazioni punite con l’arresto fino a due anni, in assenza di danno, e con la reclusione da sei mesi a tre anni, in presenza di danni, ma con la previsione di ipotesi aggravate in caso di danni nell’ambito di società quotate), ad una distinzione basata sul contesto societario nel quale le false comunicazioni sono poste in essere (situazioni punite con la reclusione da uno a cinque anni, nelle non quotate, salva la sussistenza delle ipotesi attenuate e della causa di non punibilità, e con la reclusione da tre a otto anni, nelle quotate o equiparate).
La condotta contemplata dalla nuova fattispecie nell’ambito delle società non quotate consiste nell’esporre consapevolmente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero nell’omettere (altrettanto consapevolmente) fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore.
Rispetto alla precedente fattispecie occorre evidenziare: la scomparsa delle soglie di punibilità; l’eliminazione del riferimento all’omissione di “informazioni”, sostituito da quello all’omissione di “fatti materiali rilevanti” la cui comunicazione è imposta dalla legge; la precisazione che la condotta deve essere “concretamente” idonea ad indurre altri in errore; l’eliminazione dell’inciso che colloca in ambito penale i fatti materiali “ancorché oggetto di valutazioni”, con conseguente irrilevanza penale delle valutazioni false.
Quanto all’elemento soggettivo, nella fattispecie di cui al nuovo art. 2621 c.c. permane il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, ma viene meno l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico; al contempo è esplicitamente introdotto il riferimento alla consapevolezza delle falsità esposte e delle omissioni. In pratica, al di là del fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, si passa dalla “intenzionalità” alla “consapevolezza”, ovvero da una formula che impedisce radicalmente il possibile ricorso alla figura del dolo eventuale, ad una che, invece, almeno in astratto, ha già indotto taluni ad ipotizzare il rischio che si reputi sufficiente anche quest’ultimo profilo psicologico.
In estrema sintesi, rispetto a tale fattispecie si osserva come il maggiore rigore mostrato nella determinazione della pena per l’ipotesi base sfumi non solo di fronte alla non considerazione delle valutazioni, ma anche al cospetto della previsione di due ipotesi di lieve entità punite con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 2621-bis c.c.) – fattispecie autonome o circostanze attenuanti? – e di una ipotesi di non punibilità per particolare tenuità (art. 2621-ter c.c.).
Molto diversa appare la situazione nell’ambito delle società quotate (o ad esse equiparate).
Rispetto alla fattispecie di cui all’art. 2621 c.c., infatti, emergono le seguenti e non banali differenze. Innanzitutto, l’entità della sanzione, che, come visto, nelle quotate è della reclusione da tre a otto anni (misura che non solo allunga i termini di prescrizione, ma rende anche possibile il ricorso ad intercettazioni). È, inoltre, omessa la precisazione che la condotta debba esplicarsi su bilanci, relazioni o altre comunicazioni sociali, dirette ai soci o al pubblico, “previste dalla legge”, con la conseguenza che potrebbero presentare rilevanza penale, ad esempio, anche le dichiarazioni false rilasciate dagli amministratori durante una conferenza stampa.
Non si specifica, poi, che la condotta espositiva di fatti materiali non rispondenti al vero debba intervenire su fatti “rilevanti”, con il rischio di sanzionare duramente anche l’esposizione di fatti non rispondenti al vero di minore gravità (salva l’eventuale esclusione dell’elemento soggettivo). Tale severità è, infine, rafforzata dal fatto che nelle quotate non rilevano né le ipotesi di lieve entità di cui all’art. 2621-bis c.c., nei limiti di compatibilità, perché relative ai fatti di cui all’art. 2621 c.c., né quella di non punibilità per particolare tenuità di cui all’art. 2621-ter c.c., per la quale, oltre al riferimento ai fatti di cui agli artt. 2621 e 2621-bis c.c., è la stessa disciplina dell’art. 131-bis c.p. a precluderne l’applicabilità, richiedendo una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni.
Fonte: di Maurizio MEOLI - EUTEKNE.INFO - http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_507889.aspx?utm_source=einewsletter&utm_medium=link&utm_content=Art_507889.aspx&utm_campaign=articolo