Mancata esibizione di documenti: condotta non sempre irrimediabile

Martedì 16 maggio2017

Il contribuente può presentarli in giudizio se dimostra che l’omissione è dipesa da cause a sé non imputabili, quali la forza maggiore, il fatto del terzo o il caso fortuito
Mancata esibizione di documenti: condotta non sempre irrimediabile L’interpretazione sistematica della norma tributaria “costituzionalmente orientata agli artt.3, 24 e 53 Cost.” ha permesso alla sentenza 22743/2016 della Cassazione di estendere la disciplina prevista nell’ambito delle imposte dirette a quella dell’imposta sul valore aggiunto riguardo agli effetti processuali dell’omessa esibizione dei documenti richiesti dall’Amministrazione finanziaria o dalla Guardia di finanza in occasione degli accessi. Infatti, il quinto comma dell’articolo 52 del Dpr 633/1972, ai fini Iva, si limita a prevedere che i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa e che, per rifiuto di esibizione, si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione. In tema di imposte dirette, il quinto comma dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 è identica alla normativa Iva, ma aggiunge che le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma (oggi quarto) non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile. Nessun dubbio che la differente regolamentazione di una stessa situazione di fatto avrebbe sollevato non infondati dubbi di costituzionalità, in quanto la sanzione dell’inammissibilità della produzione giudiziale dei documenti richiesti dal verificatore fiscale in sede amministrativa non può non tenere conto dell’impossibilità – per causa non imputabile al contribuente – dell’esibizione in occasione dell’accesso dei verificatori. Infatti, la conseguenza della violazione di un precetto presuppone pur sempre “la coscienza e volontà dell'azione” dell’infrazione, le quali non possono riscontrarsi ogniqualvolta il rifiuto sia dipeso da cause non imputabili al contribuente, quali - tra quelle indicate dalla sentenza della Corte regolatrice del diritto in nota - la forza maggiore, il fatto del terzo o il caso fortuito, la cui dimostrazione è onere del soggetto destinatario della richiesta di esibizione. Tale pronuncia è in assonanza con la pronuncia delle sezioni unite della Corte di legittimità 25 febbraio 2000, n. 45, per la quale la cennata preclusione pretende la non veridicità del possesso dei documenti (anche per quelli la cui tenuta non sia obbligatoria) o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da indizi, esprimenti sia la coscienza e volontà della dichiarazione stessa sia il dolo costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. L’applicazione della normativa dettata per le imposte dirette dall’articolo 32, comma 5, prima trascritto, per la produzione dei documenti non esibiti secondo cui essi devono essere “in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado”, dev’essere coordinata con la statuizione della sentenza del supremo Collegio in commento che il “documento, successivamente rinvenuto o comunque acquisito dal contribuente, può essere utilizzato nel giudizio tributario secondo le forme ed i termini previsti dalle norme processuali per la introduzione nel giudizio delle prove precostituite (artt.24 e 58, comma 2, d.lgs n. 546/1992)”. Infatti, mentre si reputa pacifico che l’articolo 24, comma 2, del Dlgs 546/1992, consenta in primo grado l’integrazione dei motivi di ricorso resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti a opera delle altre parti o per ordine della Commissione tributaria, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito, parimenti è da riconoscersi prevalente l’applicazione dell’articolo 58, comma 2, del Dlgs del 1992 su quella dell’articolo 32 del Dpr del 1973. Infatti, la previsione dell’articolo 58, comma 2, della legge sul contenzioso del 1992, secondo cui in appello “è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”, risulta disposizione generale e successiva a quella precedente, ma non specifica dell’esclusione della preclusione alla produzione dei documenti non esibiti in sede amministrativa quando siano versati in atti processuali, ma soltanto se “in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado”. In tema di omessa esibizione di documenti richiesti durante gli accessi, peraltro, la giurisprudenza del supremo Collegio si è già espressa – e riguardo l’Iva, ad esempio, con la sentenza 9127/2006 – affermando che la preclusione alla produzione giudiziale trova applicazione solo quando si sia in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto, o di un occultamento, da parte del contribuente.

 fonte:fiscoggi a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

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