di Morena Cocci
La mera non opposizione della cartella di pagamento non può determinare una modificazione del regime della
prescrizione quinquennale dei crediti previdenziali.
Lo ha stabilito il Tribunale di Roma con la sentenza n. 4549 del
6.05.2015.
Il caso trae origine dal ricorso proposto da una società avverso le intimazioni di pagamento notificate da Equitalia e
relative a due cartelle di pagamento, aventi entrambe ad oggetto contributi previdenziali Inps insoluti e maturati nel
2001.
In particolare, la società ha sostenuto l'illegittimità degli atti di intimazione eccependo l'avvenuta prescrizione del
credito dell'Istituto, maturatasi successivamente alla notifica delle cartelle di pagamento.
La questione verte pertanto sulla durata del termine prescrizionale del credito previdenziale, dopo che sia stata
notificata e non opposta una cartella esattoriale.
Mentre la decadenza riguarda i poteri che un soggetto può e deve esercitare entro un tempo determinato dalla legge, la
prescrizione riguarda i diritti che, già sorti, non sono stati esercitati per un tempo stabilito dalla legge. La notifica di una
cartella di pagamento, e qualunque atto successivo di messa in mora, produce un effetto interruttivo della
prescrizione.
La Cassazione (sent. 4338/2014) equipara la cartella di pagamento divenuta definitiva, perché notificata e non
impugnata al "passaggio in giudicato" di una sentenza. Di conseguenza, da questa definitività discenderebbe la
trasformazione della prescrizione quinquennale, propria dei crediti previdenziali, in quella ordinaria decennale di
cui all'art. 2946 del Codice Civile. Per sostenere questa motivazione la Cassazione ha richiamato la sentenza
17051/2004.
La Corte di Appello di Catanzaro (sentenza 651/2014) stabilisce, invece, che applicare questi principi significherebbe
non tenere conto della diversa natura dei "titoli" che vengono in considerazione: uno (la sentenza) di formazione
giudiziale, l'altro (la cartella) formato unilateralmente dall'ente previdenziale/creditore.
Il Tribunale di Roma ha seguito l'orientamento tracciato dalla Corte d'appello di Catanzaro che ha dalla sua parte due
valide ragioni di condivisione:
• nella sentenza 17051/2004 (richiamata quale precedente dalla Cassazione) non si fa riferimento all'art. 2935 del
Codice civile e alla prescrizione decennale derivante dal giudicato. La sezione tributaria della Cassazione parla,
invece, di applicazione del termine di prescrizione ordinario decennale (art. 2946 C.C.) in quanto nel caso di specie si
stava discutendo di un credito Iva al quale – in mancanza di una specifica previsione di legge – si applica la prescrizione
decennale;
• le Sezioni Unite della Cassazione (25790/2009) hanno chiarito che gli effetti del giudicato non possono essere
assimilati a quelli della mera acquiescenza amministrativa che si esaurisce nell'ambito di un rapporto amministrativo
bilaterale, all'interno del quale il contribuente riconosce di fatto la legittimità della pretesa fiscale.
Per le Sezioni unite, se
il trasgressore contesta dinanzi all'autorità giudiziaria un atto di irrogazione sanzioni, in caso di sua soccombenza, anche
parziale, il titolo in base al quale l'Agenzia fa valere la propria pretesa non è più l'atto amministrativo che non è mai
divenuto esecutivo ex se, bensì la sentenza di condanna alla sanzione, che può anche essere diversa da quella
irrogata dalle Entrate.
FONTE: SISTEMA RATIO - CENTRO STUDI CASTELLI