5 LUGLIO 2016
Il giudice tributario, dinanzi a un’invalidità sostanziale dell’atto impugnato, è tenuto a una riquantificazione della pretesa e non alla rimozione totale dell’atto stesso.
Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 12561 del 17 giugno 2016, enunciando una serie di arresti conformi (cfr. ad esempio, Cass. Civ., nn. 106/2015, 26855/2014, 20444/2014, 14421/2014, 7321/2014 26157/2013, 19122/2012, 21759/2011, 19542/2011, 23171/2010, 25104/2008, 22453/2008, 11212/2007, 11217/2007, 8581/2006, 15825/2006, 10867/2005, 3309/2004, 7791/2001 e 16171/2000) e sostenendo che secondo la ormai pacifica giurisprudenza dello stesso giudice di legittimità, il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, con la conseguenza che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v. tra numerose altre, da ultimo Cass. n. 26157 del 2013).
In pratica, la decisione giudiziale assume un ruolo sostitutivo rispetto alla dichiarazione del contribuente (comunque superata dal controllo fiscale) e all’accertamento dell’ente impositore, sì da apparire logico, nonché imprescindibile alla luce della normativa processuale, che la pronuncia finale surrogatoria rechi un adeguato impianto motivazionale, forgiato sugli elementi versati in causa.
FONTE: IL TUO TRIBUTARISTA