Contraddittorio non obbligatorio per le imposte “non armonizzate”

Mercoledì 15 giugno 2016 

 Per l’ordinamento nazionale, il confronto con l’amministrazione finanziaria va necessariamente instaurato soltanto nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge palazzo di giustizia
L'omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non determina l’illegittimità dell’accertamento parziale, in quanto non sussiste un obbligo normativo di convocare il contribuente; quanto all’Iva (tributo armonizzato), il contribuente, per dimostrare che l’eccezione non è meramente pretestuosa, deve allegare i motivi specifici che avrebbe addotto in sede di confronto con l’amministrazione finanziaria. Così si è espressa la Corte di cassazione con la sentenza n. 10903 del 26 maggio 2016. La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico di un rappresentante di commercio ex articoli 41-bis, Dpr 600/1973, e 54, comma 5, Dpr 633/1972, per maggiori Irpef, Iva, Irap e addizionali dovute, in relazione all’anno d’imposta 2007, a seguito di recupero a tassazione di ricavi non dichiarati. In particolare, dai dati in possesso dell’Amministrazione finanziaria, erano emerse incongruenze tra l’elenco dei clienti del contribuente e quelli dei fornitori, con notevole differenza del corrispettivo fatturato ai clienti rispetto a quello dichiarato dal contribuente. Quest’ultimo, tra i motivi di ricorso, ha eccepito il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e il mancato invito al contraddittorio, sostenendo che in capo all’amministrazione sussiste l’obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo, in assenza del quale l’accertamento è illegittimo. Le commissioni di primo e secondo grado hanno rigettato il ricorso. Nello specifico, i giudici di secondo grado hanno sostenuto che, in ogni caso, non essendo in presenza di un accertamento sintetico bensì di un accertamento parziale (articolo 41-bis, Dpr 600/1973), basato sui dati forniti dagli stessi interessati o raccolti dall’ufficio, non sussiste un obbligo di convocare il contribuente. Decisione della Corte di cassazione – Osservazioni Avverso la sentenza di secondo grado, il contribuente propone ricorso per cassazione, lamentando che i giudici avrebbero omesso di considerare come “da un complesso di norme e principi, disciplinanti il rapporto tra Fisco e contribuente, emerga l’esigenza di rispetto di un principio generale di contraddittorio endoprocedimentale, operante anche nelle procedure di accertamento parziale e di rettifica delle dichiarazioni”. I giudici di legittimità hanno ritenuto la censura parzialmente fondata in ragione dei principi espressi dalla sentenza delle Sezioni unite n. 24823/2015. Queste, invero, con la richiamata pronuncia, previo articolato excursus, hanno affermato che, in caso di verifiche “a tavolino” aventi a oggetto il recupero di imposte “non armonizzate”, l’Amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale. A questa conclusione si giunge perché nell’ordinamento nazionale, a differenza del diritto dell’Unione europea, non è previsto un obbligo generalizzato di ricorrere al contraddittorio ogni qual volta l’Agenzia delle Entrate adotti un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente che comporti, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Secondo la Corte suprema, dal confronto tra diritto nazionale e comunitario emerge che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’instaurazione del contraddittorio costituisce un obbligo solo nel caso in cui sia espressamente prevista dalla legge. Diversamente, in tema di tributi “armonizzati”, l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale è generalizzato e la mancata instaurazione comporta – ex se – l’invalidità dell’atto, purché il contribuente dimostri, in sede giudiziale che, in mancanza di tale violazione, il procedimento avrebbe comportato un risultato diverso. Ne consegue che la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’amministrazione comporta l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che l’opposizione di dette ragioni – valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio – non si riveli puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo, rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto. Tornando al caso in esame, non è contestato che si verte in ipotesi di controllo fiscale eseguito a seguito di acquisizione documentale, ai sensi dell’articolo 41-bis, Dpr 600/1973 e dell’articolo 54, Dpr 633/1972 e, pertanto, non sussiste l’obbligo normativo di convocare il contribuente. Alla luce dei predetti principi, la Corte ha rimesso la causa innanzi alla Ctr, ove, limitatamente alla pretesa Iva, “dovrà essere valutata, in sede di rinvio, quanto alle contestazioni, presenti nell’avviso di accertamento, concernenti l’Iva, la c.d. prova di resistenza (sopra richiamata) eventualmente allegata dal contribuente, in relazione all’eccepita violazione del principio del contraddittorio per i c.d. tributi armonizzati”. La sentenza in esame riveste particolare importanza laddove, in linea con l’orientamento già espresso, ribadisce che, fuori dei casi di un obbligo codificato, la presunta violazione del contraddittorio non deve essere invocata in termini generici e astratti e incombe sul contribuente l’onere di dimostrare che, a fronte del mancato rispetto del principio del contraddittorio endoprocedimentale, effettivamente “tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”. In termini concreti: chi eccepisce il difetto di contraddittorio ha l’onere di dimostrare che, se il contraddittorio vi fosse stato, egli avrebbe introdotto elementi che potevano potenzialmente e ragionevolmente allargare il quadro istruttorio da tener presente per la decisione. Risulta dunque pretestuosa un’eccezione di difetto del contraddittorio che non si accompagni all’allegazione di elementi potenzialmente rilevanti in rapporto all’oggetto della contestazione, comunque da verificare nella loro fondatezza. Con la sentenza in commento, la Cassazione affronta anche un altro aspetto, fortemente sostenuto in dottrina e ricalcato da alcuni Corti di merito, in ordine a un supposta violazione dei principi costituzionali derivanti dalla duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”. Al riguardo, i giudici di legittimità confermano che l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale. L’affermata insussistenza, nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale non viola, inoltre, né l’articolo 24 della Costituzione né l’articolo 111 della Costituzione, atteso che le garanzie di cui all’articolo 24 “attengono, testualmente, all’ambito giudiziale”. Da ultimo, preme osservare che, in materia di contraddittorio, oltre alle previsioni normative e alla tipologia di tributo, anche i recenti documenti di prassi dell’Agenzia ribadiscono in via generale la centralità del contraddittorio, quale momento di confronto effettivo, non solo a tutela del contribuente. Pertanto, è stato affermato che “un’attività di controllo sistematicamente incentrata sul contraddittorio preventivo con il contribuente, da un lato rende la pretesa tributaria più credibile e sostenibile, dall’altro scongiura l’effettuazione di recuperi non adeguatamente supportati e motivati perché non preceduti da un effettivo confronto” (cfr circolari 16/2016 e 25/2014). 

FONTE: FISCOGGI DI Filomena Scarano

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