Giovedì 9 giugno 2016
Il contribuente ha sempre la possibilità di dimostrare l’inesistenza dei redditi presunti sinteticamente dall’Amministrazione finanziaria.
A tal fine può anche provare che gli atti contestati, indici di maggiore capacità contributiva, hanno natura simulata.
Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito e (nel testo vigente ed applicabile ratione temporis alla fattispecie sottoposta alla S.C. cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010) prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.
Resta salva, in ogni caso, ai sensi del sesto comma dell’art. 38 cit., la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).
Tra le prove contrarie volte a dimostrare l’inesistenza dei redditi presunti sinteticamente dall’Amministrazione è ammessa anche quella della simulazione ovvero la prova del fatto che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e che, quindi, non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto natura simulata.
In particolare sul tema la S.C. ha già affermato relativamente a fattispecie di spese per acquisto di immobili, che è consentito al contribuente dimostrare che manca una disponibilità patrimoniale in quanto il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita, anziché quella onerosa apparente (Cass. nn. 8665 del 2002 e 5991 del 2006).
Nella fattispecie il riferimento è invece operazioni finanziarie contestate al contribuente, in particolare, versamenti effettuati per aumento di capitale di società partecipate. Il contribuente aveva provato legittimamente e validamente l’inesistenza di tali spese, trattandosi di fattispecie artatamente configurate al solo fine di accedere a contribuzioni erariali e che gli aumenti di capitale erano privi di reale consistenza e di apprezzabili elementi reddituali non dichiarati.
Cassazione civile, sez. tributaria, 10 ottobre 2014, n. 21442
FONTE:MIOLEGALE.IT