La perdita iniziale della start-up non è indice di antieconomicità

Mercoledì 27 aprile 2016

Le perdite conseguite in fase di start-up non sono sintomo di antieconomicità né rileva che il bilancio di una Cfc (Controlled foreign company) sia stato redatto in lingua inglese e che la relazione di certificazione sia stata emessa da soggetto non iscritto nel Registro italiano dei revisori legali
Le perdite conseguite in fase di start-up non sono sintomo di antieconomicità né rileva che il bilancio di una Cfc (Controlled foreign company) sia stato redatto in lingua inglese e che la relazione di certificazione sia stata emessa da soggetto non iscritto nel Registro italiano dei revisori legali. Sulla base di tali considerazioni la Commissione Tributaria Regionale di Venezia, con sentenza n. 231/1/16 depositata l’11 febbraio 2016, ha annullato un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ove si rideterminava in via induttiva, ex art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, il reddito imponibile di una Cfc residente a Hong Kong imputato per trasparenza in capo alla controllante italiana ex art. 167 del Tuir. La pronuncia, in senso opposto a quanto deciso in primo grado, affronta una pluralità di interessanti questioni. I giudici dichiarano innanzitutto l’illegittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo nei confronti di un soggetto non residente, in quanto nessuna delle tassative ipotesi previste dalla suddetta norma trova riscontro nel caso di specie. Sollevano, in particolar modo, l’illogicità del percorso logico argomentativo dei giudici di prime cure, i quali hanno considerato fondato l’utilizzo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un accertamento induttivo basato sui seguenti presupposti: assenza di immediata redditività di un investimento imprenditoriale (teso a sviluppare l’editoria d’infanzia nel mercato cinese) da parte di una start-up al suo primo anno di vita; delocalizzazione della start-up a Hong Kong, territorio notoriamente caratterizzato da un basso costo del lavoro; bilancio redatto in lingua inglese e certificato da un soggetto non iscritto nel registro italiano dei revisori legali. Secondo i giudici di appello, l’assenza di redditività in fase di start-up nel primo anno di attività è fisiologica (per ammissione della stessa Agenzia delle Entrate, la Cfc aveva peraltro dichiarato un imponibile fiscale già al terzo anno di attività) e non è presunzione assoluta in grado di supportare la tesi dell’antieconomicità. Non a caso l’applicazione di strumenti «presuntivi» quali gli studi di settore e la disciplina delle società di comodo (oggi ufficialmente estesa in via legislativa anche alle Cfc) è sempre esclusa dal legislatore con riferimento al primo anno di attività, in virtù dell’ovvia considerazione che è legittimo attendersi che gli investimenti necessari superino i primi ricavi conseguiti. Allo stesso modo, la mera constatazione fattuale della localizzazione della controllata a Hong Kong, l’assenza di un bilancio redatto in lingua italiana e la certificazione di quest’ultimo prodotta da un revisore locale, non rappresentano elementi sufficienti a disattendere le risultanze di bilancio di un soggetto non residente. Si ricorda l’esistenza di norme (ad esempio D.M. n. 429/2001 proprio in tema di Cfc, art. 132, comma 2, lett. c del Tuir e l’abrogato art. 96, comma 8 del Tuir) e di interpretazioni della stessa Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 409/2008) che ammettono l’utilizzo di bilanci redatti in lingua straniera. Ancora più netta è, poi, la censura dei giudici di secondo grado in merito alla modalità di determinazione del reddito induttivamente accertato in capo alla società non residente: non è, infatti, possibile quantificare il reddito presuntivamente attribuibile alla controllata Cfc residente a Hong Kong sulla base della marginalità economica registrata dalla controllante italiana nel mercato italiano, in assenza di qualsiasi logica motivazione in grado di supportare tale impostazione. I giudici di appello, oltre a confermare la fondatezza delle censure di merito sollevate dalla società come innanzi illustrate, censurano anche il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio (in violazione degli artt. 7 e 12 dello Statuto del contribuente), il quale ha ignorato de plano le argomentazioni addotte dalla società in sede di memorie al processo verbale di constatazione, con conseguente violazione del principio del contraddittorio.
fonte:LAVOOROFISCO

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