lunedì 7 marzo 2016
L’imposta sui redditi delle persone fisiche, Irpef, si prescrive in 5 e non 10 anni: orientamento nuovo che contraddice anni di giurisprudenza.
L’obbligo di pagamento dell’Irpef si prescrive in soli cinque anni e non dieci: e ciò perché, secondo il codice civile [Art. 2948 cod. civ. n. 4], si prescrive in un quinquennio tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ogni anno o in termini più brevi. È questo l’orientamento coraggiosamente espresso dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro [CTR Catanzaro sent. n. 173/16], che contraddice anni di giurisprudenza contraria della Cassazione, anche a Sezioni Unite. Insomma, metà del tempo, per i contribuenti, per sperare che la tagliola del fisco si dimentichi di loro.
Con la sentenza in commento, i giudici calabresi hanno rigettato il ricorso di Equitalia contro una pronuncia di primo grado che aveva anch’essa optato per la tesi di una prescrizione breve: non attecchisce, in entrambi i giudizi, l’interpretazione del fisco secondo cui l’Irpef si prescriverebbe in 10 anni.
La prescrizione in cinque anni prevista dal codice civile per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente a un anno o in termini più brevi”, si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo. In altre parole, le disposizioni della norma si applicano nelle ipotesi di prestazioni periodiche, quando la ragione del pagamento è continuativa nel tempo, a differenza dei casi di debito unico. Il che vale anche per le obbligazioni di carattere fiscale, come l’Irpef, dove l’imposta è dovuta annualmente in relazione appunto ai presupposti di reddito dichiarati di volta in volta. Si tratta, dunque, di presupposti d’imposta tra loro diversi e ricalcolati ogni anno, perciò tra loro del tutto autonomi.
In buona sostanza, se il contribuente riceve una cartella di pagamento con cui Equitalia gli impone di versare l’Irpef, la stessa si può dire “scaduta” dopo cinque anni, sempre che, nel medesimo termine, non siano intervenuti solleciti di pagamento a interrompere la prescrizione e a farla decorrere nuovamente da capo (dal giorno dopo, cioè, la notifica dell’atto interruttivo).
La tesi della prescrizione breve, comunque, non è nuova. Già la CTP di Reggio Calabria, due anni fa [CTP Reggio Calabria, sent. del 16.04.2014. “Nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”. Per le imposte dirette ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: lo stesso articolo 7 del D.P.R. n. 917 del 1986 (anche nella novella posta dal D.Lgs. n. 344 del 2003) recita che l’imposta è dovuta per anni solari e, quindi, ogni anno. Ne discende che, sia pure in presenza dei relativi presupposti, l’imposta diretta deve essere pagata “periodicamente” a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole valide e efficaci per ogni anno futuro. (C.T.P. Milano 20.11.2004 n. 207). Lo stesso dicasi per la dichiarazione annuale relativa all’I.V.A. (imposta della presente fattispecie) in cui il presupposto del tributo nasce anche trimestralmente ma la dichiarazione è unica: quindi perfettamente rientrante nella disposizione codicistica di cui all’art. 2948 n. 4 c.c..”
], aveva sostenuto identica interpretazione. La Commissione calabrese, aderendo a un orientamento minoritario, aveva affermato che le obbligazioni tributarie (a prescindere dalla tipologia d’imposta) hanno fisiologicamente insita la caratteristica della “periodicità” alla quale il codice civile [1] riconduce la prescrizione quinquennale.
Dello stesso avviso è la CTP di Messina, sent. n. 512/13/2013. La Cassazione, comunque, resta ancora ferma sulla prescrizione decennale [Cass. sent. n. 4283/10, n. 2941/07, n. 4721/03, SS.UU. n. 10955/02 e, nel merito, ad es. CTP Caserta sent. n. 95/11.].
fonte:www.laleggepertutti.it