Studi di settore: l’Agenzia Entrate deve valutare il secondo lavoro

Giovedì 18 febbraio 2016


Accertamento fiscale nullo se la riduzione di fatturato dipende da una seconda attività intrapresa dal contribuente.
Gli studi di settore devono tenere conto del minor tempo riservato dal contribuente all’attività principale per dedicarsi ad un secondo lavoro e, quindi, della conseguente riduzione di ricavi: pertanto è illegittimo l’accertamento fiscale notificato dall’Agenzia delle Entrate quando si limiti a valutare solo la difformità di una attività rispetto agli standard di settore senza considerare la presenza di un secondo impiego. È quanto chiarito dalla Cassazione [Cass. sent. n. 2623/2016]. 
  Il caso dell’insegnante col doppio lavoro Per comprendere l’importanza della sentenza depositata dalla Suprema Corte vi racconteremo il caso di un nostro lettore che, per quanto inverosimile, è purtroppo assai ricorrente nel nostro Paese; il che non fa altro che confermare la diffusa opinione di un’amministrazione finanziaria cieca e ottusa pur dinanzi la più elementare evidenza. Tizio ha un negozio con un discreto fatturato. La via sulla quale affaccia è il corso principale della città. Che, tuttavia, un giorno, l’amministrazione locale decide di rendere isola pedonale. Il titolare dell’attività subisce una sensibile riduzione dei ricavi (la sua clientela è gente che, di norma, ha difficoltà a deambulare). Così, per integrare il calo di reddito, decide di accettare un posto di insegnante in una scuola privata, lasciando chiuso il negozio fino alle 11 di ogni mattina. Il fatturato dell’attività commerciale scende ulteriormente sotto gli studi di settore. Tizio viene così raggiunto da un accertamento fiscale e, pur andando a discutere i termini della questione con il funzionario dell’ufficio territoriale, non la spunta. Immediato l’invito a pagare i redditi – secondo il fisco – “evasi”. Ad evitare l’accertamento non è valso neanche il contratto di assunzione attestante il secondo impiego e il fatto che, in relazione a quest’ultimo, il contribuente pagasse regolarmente le tasse e che quindi non un solo euro veniva occultato all’erario. Solo il giudice, in secondo grado, è riuscito a confermare la tesi del povero contribuente la cui unica colpa era stata quella di lavorare il doppio per poter mantenersi. Il caso che ha interessato la sentenza in commento è molto simile. Un professionista aveva ridotto il tempo in studio, con conseguente riduzione dei ricavi, per aver accettato un incarico da amministratore di condominio. Anche per lui è scattato l’accertamento fiscale per contrazione del volume d’affari sotto gli studi di settore. E anche per lui si è profilato un calvario giudiziario che solo in Cassazione ha trovato finalmente giustizia. 
  La sentenza La Cassazione ha ricordato che in tema di studi di settore il contribuente può allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la propria attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento. Così facendo è possibile giustificare un reddito inferiore al risultato degli studi di settore. (si veda la Cassazione 3415/2015). Il giudice quindi dovrà tenere conto di eventuali prove prodotte dal contribuente a dimostrazione che il calo del fatturato è derivato da elementi tali da rendere l’attività concretamente svolta difforme rispetto allo standard astratto elaborato dal fisco. In questa logica assume rilievo l’eventuale doppio lavoro svolto dal contribuente che abbia sottratto tempo e disponibilità a quella che, secondo l’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere l’attività principale. Tali elementi vanno prodotti già in sede di contraddittorio e, qualora respinti dall’ufficio, occorrerà che quest’ultimo motivi adeguatamente il rigetto. 
fonte: www.laleggepertutti.it

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