07 settembre 2015 di Marco Peirolo
Il principio di tassazione basato sul Paese di destinazione, che caratterizza gli scambi
intracomunitari di beni, esige che il cedente e il cessionario siano soggetti passivi che agiscono
in quanto tali.
Riguardo agli enti non commerciali, cioè quelli non aventi per oggetto esclusivo o principale
l’esercizio di un’attività commerciale o agricola, il trattamento impositivo delle operazioni
intracomunitarie deve essere esaminato distinguendo gli enti non commerciali soggetti IVA da
quelli che, invece, non sono soggetti IVA.
I primi sono gli enti, di cui all’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 (enti pubblici e privati,
compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le
società semplici), che – a latere dell’attività istituzionale, non soggetta a IVA – svolgono
un’attività commerciale o agricola, soggetta a IVA.
I secondi, invece, sono gli enti, di cui al citato art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, che
perseguono esclusivamente finalità istituzionali, sicché l’attività svolta non è soggetta a IVA.
Le cessioni di beni nei confronti di operatori economici di altri Paesi membri, poste in essere
dagli enti non commerciali soggetti IVA, assumono natura intracomunitaria e, quindi,
beneficiano della non imponibilità prevista dall’art. 41, comma 1, lett. a), del D.L. n. 331/1993
se tali operazioni sono riconducibili alla sfera commerciale/agricola dell’ente. Le stesse
cessioni, ove riferibili alla sfera istituzionale dell’ente, sono invece irrilevanti ai fini IVA per
carenza del presupposto soggettivo d’imposta di cui all’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972.
Va da sé, pertanto, che sono ugualmente escluse da IVA le cessioni di beni nei confronti di
operatori economici di altri Paesi membri poste in essere dagli enti non commerciali non
soggetti IVA e ciò in ragione dell’attività svolta, di natura esclusivamente istituzionale.
Passando ad esaminare il trattamento impositivo degli acquisti di beni presso fornitori di altri
Paesi membri, per gli acquisti effettuati dagli enti non commerciali soggetti IVA, l’art. 38,
comma 1, del D.L. n. 331/1993 dispone che l’IVA è dovuta sugli acquisti intracomunitari
effettuati nell’esercizio d’impresa, arte o professione, aggiungendo che l’imponibilità si applica,
comunque, per gli acquisti intracomunitari effettuati da enti, associazioni e altre organizzazioni
(di cui all’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972), soggetti passivi IVA.
Secondo l’interpretazione fornita dalla C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (B.1.1), “per i
cennati organismi non commerciali, soggetti passivi relativamente a talune attività svolte, tutti
gli acquisti di beni in altro Stato comunitario costituiscono acquisti intracomunitari, anche se
afferenti l’attività istituzionale non soggetta all’imposta (…) e indipendentemente dal loro
ammontare”.
Rispetto, sempre, agli enti non commerciali soggetti IVA, la stessa circolare, al punto B.12.2, ha
precisato che, “(p)er gli acquisti intracomunitari inerenti l’attività istituzionale devono essere
osservati, distintamente dagli adempimenti relativi all’attività commerciale, gli stessi
adempimenti previsti per gli acquisti effettuati dagli enti non soggetti d’imposta (…), con la
sola esclusione della presentazione all’Ufficio IVA del Mod. INTRA-13, concernente la
dichiarazione preventiva degli acquisti intracomunitari. Per gli acquisti intracomunitari inerenti
l’attività commerciale, invece, devono essere assolti gli stessi obblighi imposti dalla normativa
comunitaria a tutti gli altri contribuenti”. Infine, l’Amministrazione finanziaria ha ulteriormente
specificato “che gli acquisti ad uso promiscuo afferenti sia l’attività commerciale che quella
istituzionale devono essere obbligatoriamente imputati, all’atto dell’annotazione della relativa
fattura nei registri IVA, a ciascuna delle dette attività per la parte di rispettiva competenza”.
Ai fini della detrazione IVA, l’art. 45 del D.L. n. 331/1993 prevede che tale diritto è limitato agli
acquisti intracomunitari effettuati nell’esercizio d’impresa, arte o professione, il che significa
che gli enti non commerciali soggetti IVA possono esercitare la detrazione se i beni acquistati
sono utilizzati nell’attività commerciale/agricola o, pro-quota, per quelli ad impiego “misto”.
Riguardo agli acquisti di beni presso fornitori di altri Paesi membri posti in essere dagli enti
non commerciali non soggetti IVA, l’art. 38, comma 5, lett. c), del D.L. n. 331/1993 prevede un
sistema alternato di applicazione dell’imposta, nel Paese di origine o in quello di destinazione,
a seconda del volume di acquisti effettuati nell’anno precedente o in quello in corso.
Nello specifico, al di sotto della soglia di 10.000,00 euro annui, l’IVA è addebitata dal fornitore
comunitario, mentre al di sopra di questo limite monetario l’IVA è dovuta dall’ente italiano,
previa attribuzione del numero di partita IVA, il quale – anche se sotto soglia – può comunque
optare per l’applicazione dell’imposta in Italia.
Resta inteso che i predetti enti non commerciali, non svolgendo alcuna attività commerciale,
non possono detrarre l’imposta assolta a seguito dell’identificazione ai fini IVA.
Infine, per quanto riguarda gli elenchi INTRASTAT, per le cessioni intracomunitarie compiute
dagli enti non commerciali soggetti IVA deve essere presentato il modello INTRA 1-bis, mentre
– in base all’art. 1, commi 1 e 2, del D.M. 22 febbraio 2010 – il modello INTRA 2-bis va
presentato per tutti gli acquisti intracomunitari effettuati dagli enti non commerciali soggetti
IVA e da quelli non soggetti IVA che si siano identificati a seguito del superamento della soglia
di 10.000,00 euro o per effetto dell’opzione per l’applicazione dell’IVA in Italia (si veda anche
la circolare dell’Agenzia delle Entrate 21 giugno 2010, n. 36, Parte I, § 2).
Fonte: ecnews.it