lunedì 28 settembre 2015 di Marco Peirolo
Nel commercio elettronico cd. “indiretto”, soltanto l’ordine del prodotto, ed eventualmente il
pagamento, sono effettuati per via elettronica, mentre la consegna del bene acquistato avviene
attraverso i canali tradizionali (posta, corriere, ecc.), a differenza pertanto del commercio
elettronico “diretto”, in cui l’operazione commerciale (cessione e consegna del prodotto) si
svolge interamente in modalità telematica - accedendo ad esempio ai servizi di vendita di un
sito web - ed in cui il prodotto scambiato non si materializza mai in un qualcosa di tangibile.
Con specifico riguardo alle operazioni riconducibili al commercio elettronico “indiretto”, la
disciplina applicabile, ai fini IVA, nei rapporti “B2C”, cioè con “privati consumatori”, è quella
delle vendite per corrispondenza. Per questa ragione, secondo la risoluzione dell’Agenzia delle
Entrate 5 novembre 2009, n. 274, le corrispondenti operazioni non sono soggette:
• né all’obbligo di emissione della fattura, salvo che la stessa sia richiesta dal cliente non
oltre il momento di effettuazione della cessione, come previsto dall’art. 22, comma 1, n.
1), del D.P.R. n. 633/1972;
• né all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante il rilascio dello scontrino o della
ricevuta fiscale, in virtù dell’esonero previsto dall’art. 2, lett. oo), del D.P.R. n. 696/1996.
I corrispettivi giornalieri delle vendite, comprensivi dell’IVA, devono essere, tuttavia, annotati
nel registro di cui al citato art. 24 del D.P.R. n. 633/1972 entro il giorno non festivo successivo
a quello di effettuazione dell’operazione e con riferimento al giorno di effettuazione.
Dopodiché, in sede di liquidazione periodica, si provvede allo scorporo dell’IVA con il metodo
matematico (art. 27 del D.P.R. n. 633/1972). Nel caso in cui i beni siano destinati ad essere
esportati al di fuori dell’Unione europea, è tuttavia opportuno non avvalersi dell’esonero
previsto dall’art. 22 del decreto IVA, siccome la fattura è richiesta, in dogana, ai fini del vincolo
dei beni all’operazione di esportazione. Tale documento, pertanto, deve essere emesso con
l’annotazione “operazione non imponibile” e con l’eventuale indicazione della norma,
comunitaria o nazionale, di riferimento, così come stabilito dall’art. 21, comma 6, lett. b), del
D.P.R. n. 633/1972. L’impresa italiana deve acquisire la prova dell’avvenuta esportazione, di
regola costituita dal messaggio elettronico che la dogana di uscita invia alla dogana di
partenza al più tardi, salvo casi giustificati da circostanze particolari, il giorno lavorativo
successivo a quello in cui i beni lasciano il territorio doganale comunitario. A tal fine, occorre
richiedere allo spedizioniere doganale una copia del DAE (Documento Accompagnamento
Esportazione), nel quale è riportato il codice MRN (Movement Reference Number) attraverso il
quale il fornitore può verificare l’uscita della merce con la consultazione nella sezione “Servizi
online - Tracciamento di movimenti di esportazione o di transito (MRN)” del sito internet
dell’Agenzia delle Dogane. Ai fini dello sdoganamento della merce nel Paese di destinazione,
gli obblighi dell’impresa italiana dipendono dalle condizioni di resa pattuite, dovendosi
distinguere a seconda che i costi e le formalità doganali siano a carico del fornitore o del
cliente. Tali oneri competono al venditore, per esempio, con le clausole DDP (Delivery Duty
Paid), DAP (Delivered at Place) e CIP (Carriage and Insurance Paid), mentre con la clausola DAT
(Delivered at Terminal) o con la clausola DDU (Delivered Duty Unpaid) della versione dell’anno
2000 degli Incoterms è, invece, possibile attribuire al cliente l’onere delle formalità doganali.
Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto di recesso, ipotizzando che la restituzione dei beni
sia a cura e a spese dell’impresa italiana, quest’ultima deve dichiarare la merce per
l’importazione definitiva, soggetta a IVA in dogana, oppure può ricorrere alla reintroduzione in
franchigia ai sensi dell’art. 68, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633/1972. In quest’ultima
evenienza, è previsto che i beni reintrodotti in Italia, oltre ad essere esenti dal pagamento dei
dazi, non sono neppure assoggettati ad imposta se sussistono le condizioni per beneficiare
della franchigia doganale previste dagli artt. 185 e 186 del Reg. CEE n. 2913/1992 (Codice
doganale comunitario), essendo richiesto, allo stesso tempo, che i beni siano reintrodotti nel
medesimo stato in cui sono stati esportati e che vengano immessi in libera pratica entro tre
anni dall’esportazione. Di regola, la reintroduzione in franchigia si applica anche ai fini dell’IVA
quando l’impresa italiana non ha ancora annotato la cessione all’esportazione nel registro delle
fatture emesse, nel qual caso, infatti, l’operazione concorre a formare il plafond per l’acquisto
di beni e servizi senza applicazione dell’imposta. In questa ipotesi, è tuttavia possibile evitare
il pagamento dell’imposta attraverso la trasmissione telematica della dichiarazione d’intento
(come precisato dalla nota dell’Agenzia delle Dogane 20 maggio 2015, n. 58510, dal 25 maggio
2015, non è più obbligatoria la presentazione cartacea della dichiarazione stessa e della
relativa ricevuta di presentazione)
FONTE: ECNEWS.IT