mercoledì 23 settembre 2015
di Sergio Pellegrino
L’articolo 160 della legge fallimentare stabilisce che il concordato può garantire la
soddisfazione dei crediti “attraverso qualsiasi forma”.
Il trust, a differenza di quanto avviene per cessione dei beni, accollo, altre operazioni
straordinarie, non viene menzionato esplicitamente, ma, dovendosi considerare l’elencazione
meramente esemplificativa, non v’è dubbio sul fatto che possa essere un utile strumento per
supportare le procedure concordatarie preventive, scongiurando il rischio che le iniziative
individuali di singoli creditori possano pregiudicare la realizzabilità del piano.
Con la disposizione dei beni in trust, infatti, questi, non soltanto non possono essere “aggrediti”
dai creditori, ma rappresentano per essi una garanzia di adempimento, atteso che non possono
essere distolti dalla destinazione impressa neppure ad opera del disponente.
Come è noto, con l’intervento attuato nel 2012 il legislatore ha introdotto il c.d. concordato in
bianco, stimolando l’imprenditore a “denunciare” con prontezza la situazione di crisi: il
“premio” è rappresentato dalla possibilità di depositare il ricorso con la domanda di
concordato, potendo successivamente depositare proposta, piano e relativa documentazione
entro il termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni, ulteriormente
prorogabile, in presenza di validi motivi, per un massimo di sessanta giorni, “stoppando” nel
frattempo le azioni esecutive e cautelari dei creditori.
L’ammissione al concordato preventivo produce effetti preclusivi nei confronti dei creditori
concorsuali sino alla fase dell’omologazione, ma soltanto in relazione al patrimonio del
debitore.
Le disponibilità che, spesso, il terzo, estraneo alla procedura, mette a disposizione per il
soddisfacimento dei creditori concorsuali, non sono al riparo dall’eventuale aggressione dei
propri creditori, e quindi, anche nel nuovo contesto venutosi a creare a seguito della modifica
legislativa, il trust continua ad essere in queste situazioni strumento quasi “indispensabile”,
consentendo che questi beni possano essere effettivamente destinati in via esclusiva alla
realizzazione del piano concordatario.
Innanzitutto, la segregazione dei beni attuata con l’istituzione del trust consentirà all’esperto
di dare il proprio avallo, in considerazione del fatto che le attività liquidatorie e le percentuali
di soddisfacimento dei creditori saranno in questo modo garantite.
Divenendo beneficiari del fondo in trust, poi, tutti i creditori, anche quelli dissenzienti, saranno
maggiormente tutelati, potendo fare affidamento su uno strumento segregativo strutturato e
con un guardiano in grado di esercitare un’efficace attività di controllo.
Attraverso il trust, e la segregazione dei beni apportati dal terzo, sarà inoltre possibile
attenuare la par condicio creditorum, senza violare il precetto normativo che non consente di
disporre dell’azione esecutiva dei creditori sui beni del debitore: così facendo il piano potrà
ricevere il voto favorevole anche da quei creditori che, non avendo cause legittime di
prelazione, potrebbero essere altrimenti poco interessati ad approvarlo.
Non vi sono nell’ambito del nostro ordinamento strumenti che possano portare a conseguire
risultati analoghi: bene farebbe il legislatore a prenderne atto, risolvendo una volta per tutte,
fra le altre, la vexata questio degli aspetti impositivi dell’atto di dotazione.
FONTE: www.ecnews.it