Il Jobs act e il terzo settore. Qualche altra considerazione

lunedì 21 settembre 2015 di Guido Martinelli
La lettura del decreto legislativo 81/2015 fatta con gli occhi del consulente del mondo del non profit riserva sorprese senza fine e conferma che, forse, una disciplina specifica per quest’area, anche in materia lavoristica, collegata magari al nuovo disegno di legge quadro sul terzo settore, attualmente all’esame del Parlamento, appare necessaria. 

Ritorniamo ad un punto cardine: ossia la non applicazione del primo comma dell’art. 2 (che, come è noto, prevede che alle prestazioni di lavoro personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro si applichi la disciplina del lavoro subordinato) alle collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche. La norma richiama i contenuti dell’art. 61 del c.d. Decreto Biagi che aveva esentato tali collaborazioni dall’obbligo del progetto. Ma la disciplina fiscale di detta fattispecie dovrebbe (il condizionale è legato ad un collegamento che è intuibile nella norma ma privo di riferimenti espliciti e sul quale sarebbe opportuno un sollecito chiarimento ministeriale) essere quella contenuta nell’art. 67 primo comma lett. m) del Tuir. Detta norma, però, disciplina i compensi erogati non solo nei confronti dei collaboratori delle società e associazioni sportive dilettantistiche ma anche di quelli che svolgono la loro attività dilettantistica in favore del Coni, delle Federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva e, nella qualità di direttori artistici o di collaboratori tecnici di bande, cori o filodrammatiche. È possibile interpretare la norma estendendo la non applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche a queste figure che, abitualmente, svolgono la loro attività con modalità organizzate dal committente? Ove non volessimo considerare una mera “dimenticanza” quella del legislatore, dovremmo individuarne una ratio. Non si può che partire dal principio generale che le norme derogatrici ad una disciplina di carattere generale non possono trovare applicazione fuori della fattispecie disciplinata (art. 14 preleggi al codice civile: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.”). Pertanto delle due l’una. Prima ipotesi: la norma del codice dei contratti in esame disciplina una fattispecie diversa da quella prevista dal legislatore fiscale. Ne consegue che, quest’ultima, conformemente anche al disposto dell’art. 38 secondo comma della Costituzione, prevede collaborazioni la cui causa non debba o possa essere ricercata in una prestazione di lavoro ma in una prestazione con finalità diversa, di carattere associativo e priva di nesso sinallagmatico. Ne deriva, seguendo questa interpretazione, che le collaborazioni sportive di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015 debbano essere assoggettate regolarmente a contribuzione previdenziale. Ma questa tesi, forse la più coerente con il sistema, non trova conferma in parte della Giurisprudenza in materia e, soprattutto, in una circolare del Ministero del Lavoro del 21 febbraio 2014 che ritiene, invece, che la disciplina agevolativa fiscale disciplini anche rapporti di lavoro, tant’è che ne prevede la comunicazione al centro per l’impiego e l’iscrizione nel libro unico del lavoro. Seconda ipotesi: la disciplina del codice dei contratti si applica solo alle associazioni e società sportive dilettantistiche le cui collaborazioni sotto il profilo fiscale sono disciplinate dall’art. 67 primo comma lett. m) e che da tale collocazione ne consegue il loro non assoggettamento a contribuzione previdenziale. Ma, se così fosse, per il principio della tassatività prevista dalla citata disposizione delle preleggi al codice civile, l’esclusione dalla applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato non scatterebbe nei confronti delle altre collaborazioni disciplinate dall’art. 67 del Tuir (quelle nei confronti del Coni, delle Federazioni, degli enti e dei corsi, bande e filodrammatiche). Difficile appare rinvenire una ratio che possa giustificare tale differenza di trattamento. Anche perché, in realtà, la grandissima maggioranza delle collaborazioni oggi esistenti in favore di questi soggetti diversi dai sodalizi sportivi e fatte rientrare sotto il profilo fiscale tra quelle disciplinate dall’art. 67 Tuir sono caratterizzate da modalità di esecuzione “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Ne consegue che il collaboratore di segreteria di un comitato territoriale di Federazione che svolge la sua attività in forma autonoma ma presso i locali del comitato e con l’organizzazione di quest’ultimo potrà godere del trattamento fiscale di cui all’art. 67 ma dovrà applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato? E come pagherà i contributi se dovesse esserne soggetto? Appare pertanto necessario che si faccia sollecita luce su questo aspetto della disciplina che coinvolge più lavoratori di quanto forse si pensi.
Fonte: ecnews.it

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