di Andrea Bongi - 22 Luglio 2015
A dirlo è la Corte d'Appello dell'Aquila - sentenze n. 752/2015 e n. 774/2015 – secondo la quale va accolta la tesi che i
redditi da partecipazione in società di capitali non sono da assoggettare a contribuzione obbligatoria nella gestione
commercianti ed artigiani presso l'Inps.
Le due sentenze della Corte d'Appello ribadiscono l'esito del giudizio di primo grado anch'esso favorevole al
contribuente, e smentiscono, senza ombra di dubbio, quanto sostenuto invece dall'Inps sulla base della circolare n.
102 del 12.06.2003.
La Corte d'Appello di L'Aquila ha nella sostanza ritenuto che la norma di riferimento è costituita dall'art. 3-bis D.L.
19.09.1992 n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14.11.1992 n. 438, il quale prevede che "a decorrere
dall'anno 1993, l'ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all'art. 1 della legge 2.08.1990 n. 233, è
rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini Irpef per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono".
Da ciò deriva, quindi, che in tutte le ipotesi di partecipazioni in società non trasparenti non vi sia una base reddituale
sulla quale poter applicare il contributo previdenziale alle gestioni suddette.
Una tesi, quella accolta dai giudici dell'appello, nettamente contraria alle tesi difensive dell'Inps secondo le quali, invece,
"…i contributi previdenziali dovuti dai soggetti aventi tutti i requisiti ex lege per essere iscritti alla Gestione previdenziale
dei lavoratori autonomi debbono essere calcolati non solamente sul reddito prodotto dall'attività commerciale o artigiana
che ha dato luogo all'iscrizione, ma anche su tutti gli altri eventuali redditi di impresa (cioè derivanti da partecipazione a
società di persone di natura commerciale) e redditi di capitale (cioè derivanti da partecipazione a società di capitali con
personalità giuridica)".
Nettamente contrari, invece, i giudici dell'appello hanno ritenuto di non poter condividere una tale posizione.
Nelle due
sentenze in commento, nelle quali si richiama anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 354 del 7.11.2001, si
legge infatti: "è noto che, ai sensi dell'articolo 6 DPR n. 917 del 1986, i singoli redditi sono classificati nelle seguenti
categorie: a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi
di impresa; f) redditi diversi; con la precisazione che "i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice,
da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l'oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati
unitariamente secondo le norme relative a tali redditi". E pur se l'articolo 3 bis D.L. 384/1992, continua la Corte di
Appello, fa riferimento alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef, occorre, tuttavia, tenere conto che il
rapporto previdenziale non può prescindere, per definizione, dalla sussistenza di un'attività, di lavoro dipendente o
autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in
società esercente attività di impresa dovrebbe comportare l'inserimento del reddito corrispondente nell'imponibile
contributivo.
Ne deriva che il concetto di totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef deve essere riferito esclusivamente
all'impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l'assicurato è iscritto nella relativa gestione, non essendo
necessariamente soggette a contribuzione ai fini previdenziali eventuali altre fonti di reddito da partecipazione.
FONTE: SISTEMA RATIO CENTRO STUDI CASTELLI