Beni immateriali: l’ammortamento è definito dalla volontà negoziale

Martedì 18 ottobre 2016 
Essendo potenzialmente ad utilizzabilità illimitata, sono gli accordi contrattuali a determinarne esattamente il titolo giuridico e, quindi, la ripartizione temporale
del costo Beni immateriali: l’ammortamentoè definito dalla volontà negoziale La sentenza in rassegna (Cassazione, 16673/2016) riguarda l’individuazione del criterio di calcolo da adottare ai fini fiscali per l'ammortamento del software integrante programmi sorgente, del programma cioè elaborato in “linguaggio macchina” per la realizzazione di un software operativo. In particolare, la questione era sorta perché la società aveva ritenuto che l’ammortamento del software in esame fosse disciplinato dall'articolo 103, comma 1, del Tuir (all'epoca 68), mentre l'ufficio aveva fatto applicazione del secondo comma del suddetto articolo 103. I primi due commi dell’articolo 103 del Tuir (vigente ratione temporis), ricordiamo, stabilivano che “1. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore a un terzo [nella disposizione vigente “50 per cento”, n.d.r.] del costo; quelle relative al costo dei marchi d'impresa sono deducibili in misura non superiore ad un decimo [nella disposizione vigente “un diciottesimo”, n.d.r.] del costo. 2. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell'attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge”. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva confermato l’interpretazione dell’Agenzia, mentre in appello la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio aveva accolto la tesi del contribuente, rilevando che “l'obiettivo dell'appellante non era investire in programmi operativi previo acquisto di apposita licenza con durata contrattualmente predeterminata, bensì procurarsi i cd. file sorgente da convertire con il proprio lavoro di sviluppo e implementazione realizzando un prodotto del tutto nuovo ed atto ad essere commercializzato”. Dati questi presupposti, il giudice d’appello, dopo aver illustrato la differenza tra "file sorgente (detto codice sorgente)" e "file oggetto (detto codice oggetto)", aveva infatti ritenuto che “l'oggetto del contratto era costituito da software non più funzionanti sulle piattaforme informatiche, che dovevano essere riscritti e riprogrammati ed ha concluso sostenendo che "nella specie, trattandosi appunto di acquisizione di "file sorgente" da reingegnerizzare siamo nell'ambito dei "diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali, dei processi, formule ed informazioni relative ad esperienze acquisite in campo industriale a cui trova applicazione l'art. 103, comma 1, del TUIR (già 68) correttamente utilizzato dall'appellante”. L’oggetto del diritto acquisito, dunque, era stata la ragione che aveva consentito al giudice di secondo grado di disconoscere l'operato dell'ufficio e accogliere la tesi del contribuente secondo la quale i costi per l’acquisto del suddetto software dovevano ritenersi ammortizzabili ai sensi dell’articolo 103, comma 1, del Tuir. La Corte di cassazione ha sconfessato le conclusioni raggiunte dalla Commissione tributaria regionale rilevando che “La lettura combinata dei due commi [dell’articolo 68 (ora 103) del Tuir, n.d.r.], opportunamente coordinata con la disciplina civilista in tema di bilancio, rende evidente che le due fattispecie sono entrambe applicabili ai diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, contrariamente a quanto sembra sostenere la Commissione…, e che i differenti ambiti operativi vanno distinti in ragione dell'ampiezza e del contenuto del diritto acquisito. Invero il primo comma disciplina l'ammortamento dei costi dei diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno nella misura del 30% annuo, è da ricondurre, in ragione della assenza di limitazioni all'esercizio del diritto, sostanzialmente allo statuto proprietario; il secondo comma disciplina, quindi, tutte le fattispecie residuali che il legislatore tributario sceglie di connotare sulla scorta di un unico elemento caratterizzante, costituito dalla durata limitata nel tempo dei diritti esercitabili sul bene immateriale attribuito, tanto che vi ricomprende anche le concessioni: orbene per le fattispecie previste dall'art. 68, comma 2, del TUIR il legislatore conforma alla durata dei diritti attribuiti i tempi dell'ammortamento”. Secondo la Corte di cassazione, dunque, non è l’oggetto quanto la “causa” civilistica del contratto a determinare il criterio di calcolo da adottare per l'ammortamento del software. La centralità della causa è stata confermata in un successivo passaggio della sentenza, dove è chiarito che “Rimarcate le dirette connessioni ed i richiami normativi, secondo i quali il criterio temporale di ammortamento, proprio della disciplina civilistica sul bilancio per i beni immateriali, conforta la individuazione delle due differenti modalità di ammortamento fissate dall'art. 68 del TUIR, a secondo se il bene sia stato acquisito in via indefinita o temporalmente limitata, va tuttavia sottolineata anche la differente portata della norma tributaria, direttamente rilevante nel presente giudizio. L'art. 68 del TUIR, infatti, supera il criterio lato sensu "naturalistico" della possibilità di utilizzazione del bene, per ancorarsi ad un dato oggettivo costituito dalla previsione legislativa, nel caso delle concessioni, ovvero dalla volontà negoziale trasfusa nel contratto, nel caso del trasferimento di diritti tra privati”. Secondo la Corte, dunque, non sono le diverse possibilità di concreta utilizzazione del bene immateriale a determinare il criterio di ammortamento rilevante ai fini fiscali per i beni immateriali, ma il titolo giuridico che ne attribuisce il diritto di utilizzazione. In caso di trasferimento tra privati del diritto all’utilizzazione dell’intangible, cioè, è lo schema negoziale utilizzato dalle parti a determinarne il metodo di ripartizione temporale del relativo costo. Questa linea interpretativa è ribadita in successivo passaggio della sentenza in esame, dove il supremo Collegio chiarisce che “il legislatore fiscale, pur recependo il criterio temporale di origine civilistica, quale discrimen principe tra le due ampie fattispecie in tema di ammortamento dei beni immateriali, e segnatamente dei diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, tuttavia lo riconduce alla specifica previsione contrattuale intercorsa tra le parti, ovvero alla previsione legislativa, e non già alle caratteristiche intrinseche del bene immateriale, "naturalisticamente" suscettibile di utilizzo limitato o illimitato nel tempo. …. Da questo quadro normativo si evince che, in ragione della molteplicità dei diritti esercitabili sulle opere dell'ingegno, ai fini dell'ammortamento, la qualificazione rilevante in sede tributaria degli stessi, quali beni immateriali, deve essere compiuta sulla base della volontà negoziale manifestata dalle parti e non - come ha fatto il giudice di appello - sulla astratta considerazione della residua utilità o meno dal bene alla conclusione del processo di trasformazione, obliterando del tutto l'accordo contrattuale…”. Secondo la Corte, dunque, il regime fiscale di ammortamento dei beni immateriali è dato dall’effettiva volontà negoziale manifestata dalle parti nel contratto e non da astratte valutazioni in termini di utilità residua. Essendo gli intangibles potenzialmente “ad utilizzabilità” illimitata, cioè, saranno gli accordi contrattuali a determinarne esattamente il titolo giuridico di utilizzo e, conseguentemente, la ripartizione temporale del costo rilevante ai fini fiscali.

 FONTE:FISCOGGI

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