Mercoledì 22 giugno 2016
Fino a dieci, venti o trenta anni fa era una follia solo parlarne, ossia il mondo si divideva tra chi evadeva il fisco e chi lo eludeva, ossia sfruttava le norme per porre in essere operazioni finalizzate ad ottenere un minore carico impositivo. A tal fine il confine e la differenza tra evasione ed elusione fiscale era enorme: chi evadeva era un evasore punibile per un reato tributario, mentre chi evadeva le imposte era un rispettabile contribuente che versava correttamente le imposte.
In realtà oggi la variabile finanziaria connessa alla disponibilità di liquidità e’ molto sentita, per cui non pagare le imposte o tasse puo’ consentire la salvaguardia della continuità aziendale e dei posti di lavoro, e’ un interesse sentito e anche tutelato in giurisprudenza. Appunto come nel caso che vedremo più avanti.
Ne’ e’ stato consapevole il destinatario di un accertamento fiscale scaturito visto le somme degli importi in gioco in sanzioni penali per mancato pagamento di imposte che alla motivazione richiesta dal giudice sulle cause dei mancati pagamento ha risposto che se avesse pagato le imposte la sua società’ avrebbe chiuso per cui ha privilegiato il pagamento della voce salari e stipendi ossia debiti verso dipendenti piuttosto che quella dei debito tributari.
Con l’abuso del diritto, almeno per come lo intendono molti professionisti, eludere e’ molto rischioso per cui spesso quasi non conviene, e solo negli ultimi anni con il nuovo ravvedimento operoso e devo dire anche con una maggiore conoscenza del sistema sanzionatori legato al l’evasione fiscale può essere “conveniente” non versare momentaneamente le imposte in quanto le sanzioni basse connesse ad un ritardato oppure omesso versamento possono essere piuttosto contenute, per cui si sceglie di pagare un fornitore strategico o i dipendenti o un leasing in luogo dello Stato per scongiurare la chiusura dell’attività.
La strana storia la racconta il Gazzettino di Venezia e arriva dal tribunale di Chioggia. Protagonista è un imprenditore che che non aveva proceduto al versamento delle imposte, tasse per oltre 200 mila euro superando così le soglie per la rilevanza penale del reato fiscale che intendiamoci, non deve sempre configurare un ipotesi di reato per così dire fraudolento ma è sufficiente che sia costituito dal mancato versamento di imposte superiore a determinati limiti.
La difesa del contribuente è stata incentrrata a dimostrare che che l’imprenditore ha si evaso il fisco ma per finalità per così dire onorevoli, una sorta di Robin Hood, che non versa le imposte per consentire ai propri dipendenti di percepire lo stipendio
A detta dei giudici il “fatto non costituisce reato” poiché si è venuto a trovare senza colpe e vie alternative nell’impossibilità di pagare gli acconti Iva”.
I Giudici non accolgono queste scusanti
Vi segnalo a tal proposito che la sentenza della Cassazione del 26 FEBBRAIO 2014, n. 9264 e la n. 5467 del 4 FEBBRAIO 2014, che vi invito a leggere hanno invece rinvenuto in questo comportamento il dolo generico del reato sulla base della crisi economica dell’impresa essendo irrilevante ai fini dell’adempimento dell’obbligazione tributaria anche laddove come nel secondo caso la crisi sia determinata dalla mancata riscossione dei crediti
vantati nei confronti della pubblica amministrazione.
In altre parile la Corte di Cassazione nella sentenza n. 52038/2014 non accoglie doglianze dell’imputato che porti in giudizio come causa principale dell’inadempienza il fatto di non avere pagato le imposte per poter pagare i propri dipendenti anche se convinto che le imposte fossero al 14 di sotto delle soglie di punibilità, per cui occhio perchè vi potrebbe essere applicato il reato definito dall’articolo 10-bis del Dlgs n. 74/2000 che recita:
“E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.”
Questo a mio avviso nell’assunto che l’interesse della collettività a vedere pagate le imposte è maggiore dell’interesse dei singolo imprenditore e anche dei suoi dipendenti a non vedere pagate le imposte. Questo però a mio avviso sempre nell’assunto che non si dimostri in giudizio, molto difficile però da provare, che la chiusura della società rappresenta un costo maggiore dell’omesso versamento rispetto alla tassa pagata.
Nonostante quindi il Fisco abbia imposto centinaia di comunicazioni ed abbia a disposizioni lenti di ingrandimento e strumenti di accertamento fiscale particolarmente invasivi entrando a mio avviso forse troppo nella vita degli italiani i Giudici stanno anche delineando un indirizzo giurisprudenziale interessante. In questo caso è come se volessero dire che far fallire un contribuente e mandare per la strada i suoi dipendenti, rispetto all’evasione delle imposte ed in un contesto congiunturale negeativo quale quaello in cui stiamo vivendo, forse non è preferibile o quantomeno non costituisce reato perchè lo Stato e tutti noi di quel fallimento non ne trarremo beneficio. Del resto lo stipendio non percepito o il fallimento di un imprenditore porterebbe a mio avviso una perdita maggiore di quella derivante dal mancato versamento di un’imposta o di una tassa. Di parere opposto a tale decisione già ci sono altre di sentenze.
Tuttavia la difficoltà per me è quello di saper dimostrare carte alla mano ad un giudice che la scelta di pagare una voce di costo piuttosto che un’altra in luogo delle imposte debba essre conveniente e indsipensaabile per la continuità dell’azienda altrimenti non credo che il Giudice possa accgoliere le richieste o la tesi della difesa. E poi con le ultime notizie di cronaca e di spreco di denaro pubblico la voglia di difendere i piccoli imprenditori che si trovano schiacciata da una pressione fiscale assurda ha sempre più vigore.
FONTE: www.tasse-fisco.com