Lunedì 09 Novembre 2015 di Fabio Battaglia
Il presente articolo si propone di dare alcuni orientamenti operativi
sulla situazione
paradossale che si sta determinando, con riferimento ai concordati in continuità, a seguito del
combinato disposto di una serie di frizioni di carattere burocratico che rendono assai
problematica l’ammissione alla partecipazione a gare per appalti pubblici
da parte di imprese
che, per l’appunto, hanno presentato un concordato in continuità, giunto alla omologa e, dopo
la chiusura, sono in fase di esecuzione. Il paradosso è che appare maggiormente tutelata
l’impresa ancora sotto procedura, periodo nel quale l’autorizzazione del Tribunale ai sensi
dell’art. 186 bis, comma 4, “rassicura” gli Enti appaltanti, rispetto alla successiva fase in cui il
concordato è chiuso e deve solo essere eseguito.
In realtà dovrebbe trattarsi di una non-questione, poiché è evidente che la causa ostativa di
cui all’art. 38 del Codice Appalti (D.Lgs. n. 163/2006) opera per le procedure in corso, mentre
l’art. 181 L.F. (denominato Chiusura della procedura) recita: “La procedura di concordato
preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’articolo 180”.
Nonostante questo gli enti committenti (nel dubbio?), anche a fronte di concordati omologati,
continuano a chiedere che, con la richiesta di partecipazione alla gara, siano depositati i
documenti di cui al comma 5 dell’art. 186 bis e cioè:
a) “una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo
comma, lettera d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità' di
adempimento del contratto”;
b) “la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di
capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento
dell'appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione
appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie
all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa
fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per
qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto”.
Si tenga presente che problematiche simili vengono vissute anche con riferimento alla
conferma o al rilascio delle SOA da parte degli Enti Certificatori.
I motivi di tutti questi problemi, oltre a quanto detto con riferimento all’ignoranza in tema di
norme fallimentari, risiedono anche in questioni collaterali, che denotano anch’esse una
scarsissima sensibilità da parte delle pubbliche Amministrazioni, verso le problematiche di
queste imprese. In primo luogo si cita il problema relativo alle modalità di rappresentazione,
da parte degli Uffici del Registro delle imprese, delle società che versano nella situazione di
concordato preventivo in continuità omologato. Nella pagina di apertura delle visure permane
la specifica “in concordato preventivo” accanto alla denominazione della società e,
solitamente, l’indicazione dell’intervenuta omologazione è nelle pagine interne della visura
camerale, nella sezione dedicata alla procedura; peraltro, gli organi della procedura
(commissario giudiziale ed eventuale liquidatore giudiziale, quando nominato) sono inseriti
nella sezione relativa agli organi sociali. In alcuni casi, inoltre, le imprese in concordato non
sono inserite negli elenchi delle imprese attive (nelle home page solitamente c’è una sezione
denominata “cerca imprese”), il che per un’impresa che ha scelto di accedere ad un concordato
preventivo in continuità è assolutamente grave.
Il danno subito dall’impresa è evidente e sul tema si veda l’interessante decisione del Tribunale
di Padova1 che, nell’accertare la chiusura della procedura di concordato preventivo, ha stabilito
che il Registro delle imprese disponesse le annotazioni di competenza, tali da rendere chiara
la chiusura della procedura, poiché diversamente l’annotazione della pendenza della
procedura “complicherebbe in maniera significativa la prosecuzione dell’attività imprenditoriale, al
cui successo la società affida la corretta esecuzione del piano di concordato e quindi la soddisfazione
dei propri creditori”. Un ulteriore enorme ostacolo che rende complicato l’accesso alle gare per
appalti pubblici è la risposta che l’Agenzia delle Entrate offre quando è interrogata dagli enti
appaltanti sulla regolarità fiscale dell’impresa. Come normale solitamente tra i debiti
concordatari sono comprese pendenze fiscali che, ovviamente, non possono essere definite se
non secondo modalità e tempi previsti nei piani di concordato. Ebbene il rilascio del certificato
di regolarità fiscale che presenta tali pendenze, non fa alcun riferimento alla competenza
temporale delle violazioni, modalità che consentirebbe di verificare che le irregolarità sono
precedenti alla presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo. Ciò
comporta il sistematico rifiuto dell’ente appaltante dell’ammissione della domanda di
partecipazione alla gara, a nulla valendo le osservazioni dell’impresa sulla sua regolarità con
riferimento al periodo successivo all’ammissione. Non vi è dubbio che l’inclusione di tali
pendenze nel piano, sempre che – ovviamente - non vi siano irregolarità nel periodo successivo
alla presentazione della domanda, non configurino una situazione di irregolarità fiscale, ma la
prassi ci conferma enormi difficoltà su questo fronte, poiché non è semplice che l’Agenzia delle
Entrate precisi quanto sopra detto, né è semplice far capire agli Enti tale situazione e né mai
si premurano di approfondire la circostanza.
Né peraltro si è rivelata risolutiva l’inequivoca affermazione contenuta nella determinazione
dell’ANAC n. 3 del 23 aprile 20142
, che costituisce il punto di riferimento per gli Enti che si
approcciano a società in concordato.
Nella determina, nell’ambito delle conclusioni, risulta in modo chiaro che la causa ostativa di
cui all’art. 38 del Codice Appalti, operante senz’altro per i concordati liquidatori (in quella sede
definiti “ordinari”), non opera per in concordati in continuità alle condizioni dettate dall’art.
186 bis L.F., ma che in ogni caso: “la causa ostativa in caso di concordato preventivo “ordinario”
decorre dalla domanda di ammissione al concordato, e cessa con il decreto di omologazione del
concordato preventivo ai sensi dell’articolo 180 L.F.”.
Per quanto si faccia riferimento al concordato in generale, è chiaro che il principio non può
non valere anche per il concordato in continuità, una volta chiuso, con la definitività del
decreto di omologa.
Tutto quanto detto fa comprendere quanto ancora la cultura del concordato in continuità
debba far breccia e come le pubbliche Amministrazioni siano impreparate ad operare nel senso
voluto dal legislatore e cioè favorire la continuità anziché ostacolarla. Nel proporre un
concordato in continuità diretta, pertanto, sarà necessario tener conto di tutte queste criticità,
al fine di poterle fronteggiare a monte, prendendo le opportune contro misure. Rimane
l’amarezza di constatare il malinteso senso di pubblico interesse di cui si fanno portatori
proprio quei soggetti pubblici che tale pubblico interesse dovrebbero primariamente garantire.
fonte: ecnews.it