martedì 13 ottobre 2015 di Davide David e Giovanni Turazza
Le modifiche introdotte alla Legge fallimentare dal D.L. 83/2015 potrebbero avere delle
ripercussioni anche in ambito tributario.
In particolare pare potersi affermare che, in alcuni casi, si avrà una anticipazione del momento
dal quale i fornitori potranno portare in detrazione l’Iva sulle fatture emesse; e ciò in
conseguenza del fatto che, a seguito delle modifiche alla Legge fallimentare, la chiusura della
procedura di fallimento per avvenuta ripartizione finale dell’attivo potrà ora avvenire anche in
pendenza di giudizi.
In proposito occorre ricordare che l’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972, consente ai fornitori
di beni e servizi di portare in detrazione (in tutto o in parte) l’imposta esposta in fattura, qualora
l’ammontare imponibile (cioè il corrispettivo della cessione o della prestazione) venga ad
annullarsi (o a ridursi) “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure
concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d),
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese”.
Per quanto concerne i fallimenti, secondo l’Amministrazione finanziaria il momento dal quale
sorge il presupposto della infruttuosità della procedura concorsuale (essenziale per poter
operare la detrazione dell’IVA) coincide con la scadenza del termine per la presentazione delle
osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con
la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di
chiusura della procedura (cfr. circolare n. 77/E/2000 e risoluzioni n. 155/E/2001, 89/E/2002 e
195/E/2008).
Tutto ciò, a detta sempre dell’Amministrazione finanziaria, “al fine di adeguare l’imposta al
corrispettivo effettivamente incassato” (risoluzione n. 89/E/2002).
In buona sostanza, secondo l’Amministrazione finanziaria è necessario differire il recupero
dell’Iva (mediante emissione della nota di variazione) fino all'approvazione del piano di riparto
finale (o in assenza di riparto alla chiusura della procedura) perché solo in quel momento è
nota la misura del credito per Iva di rivalsa insoddisfatto (la c.d. falcidia).
Ciò comporta che anche nei casi (assai frequenti) in cui il curatore è in grado, già nelle prime
fasi della procedura, di acclarare l'impossibilità di operare delle ripartizioni ai crediti
(chirografari) per Iva di rivalsa, comunque tali creditori devono attendere la chiusura della
procedura, che nella maggior parte dei casi si protrae per molti anni, soprattutto se vi sono
giudizi in corso.
Le recenti modifiche alla Legge fallimentare hanno però ora introdotto, tra le altre, la
possibilità per il Tribunale, su istanza del curatore, di dichiarare la chiusura del fallimento, ex
articolo 118, comma 3, (ovverosia “quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo”) anche
in pendenza di giudizi attivi e passivi, previo accantonamento delle somme previste per la
difesa nei giudizi.
In tale ipotesi il curatore, che mantiene la legittimazione processuale, provvederà (dopo la
chiusura della procedura) a un successivo riparto supplementare delle somme che riceverà in
seguito alla definizione dei giudizi e di quelle che dovessero residuare a fronte degli
accantonamenti fatti per la difesa nei giudizi.
In tale situazione (chiusura della procedura con prosecuzione dei giudizi) è da ritenere che i
creditori per i quali alla chiusura della procedura non vi sia aspettativa di recupero del credito
chirografario di rivalsa per l’Iva (o comunque della parte del credito già certa della falcidia),
possano da tale momento emettere la relativa nota di variazione Iva, senza dover attendere la
definizione dei giudizi ancora in corso e il conseguente riparto supplementare.
E questo quanto meno nei casi in cui, con il decreto di chiusura della procedura, il Tribunale
dovesse dare evidenza delle categorie di creditori alle quali destinare il riparto supplementare.
In aggiunta occorre anche considerare, in generale, le obbiezioni mosse dall'A.I.D.C. Milano,
con la Norma di comportamento n. 192/2015, alle tesi dell’Amministrazione finanziaria sul
momento dal quale è possibile emettere le note di variazione Iva in caso di procedure
fallimentari.
Secondo l’Associazione tale momento è infatti da fare coincidere con la data di apertura (e non
di chiusura) della procedura, per coerenza con le direttive comunitarie in materia di Iva e con
la tempistica riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria per la deduzione delle
perdite su crediti ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Riconoscere la possibilità ai creditori senza aspettative di recupero supplementare di emettere
le note di variazione almeno dal momento della chiusura della procedura (senza dover
attendere la definizione dei giudizi in corso) consentirebbe quindi di abbreviare i termini di
emissione, rendendoli meno lontani dal momento di apertura della procedura; così colmando,
almeno in parte, il divario esistente tra la prassi dell’Amministrazione finanziaria in materia di
Iva e quella in materia di imposte sui redditi.
Da ultimo occorre anche ricordare che, sempre secondo l’Amministrazione finanziaria, il diritto
all’emissione della nota di variazione deve essere esercitato “al più tardi, con la dichiarazione
relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto” (cfr.
risoluzione n. 85/E/2009).
Stabilire quindi il momento dal quale è possibile emettere la nota di variazione rileva anche ai
fini del conteggio del termine entro il quale può essere esercitato tale diritto.
È quindi importante, alla luce delle nuove norme in materia fallimentare, che
l’Amministrazione finanziaria chiarisca subito se, in caso di chiusura della procedura
fallimentare con prosecuzione dei giudizi, la nota di variazione vada emessa a decorrere dalla
chiusura della procedura o se occorre comunque attendere il riparto supplementare.
Ciò in quanto, considerati i tempi per definire i giudizi in corso, vi è il rischio che, in assenza di
chiarimenti, un creditore attenda la chiusura dei giudizi per emettere la nota di variazione, per
poi vedersi disconosciuto il diritto nel presupposto che la nota di variazione doveva essere
emessa “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui”
si è chiusa la procedura di fallimento.
fonte:
www.ecnews.it