venerdì 2 ottobre 2015 di Marco Peirolo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18924 del 24 settembre 2015, ha affermato che
l’obbligo di registrazione degli acquisti, previsto dall’art. 25, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972,
non solo non è contemplato dalla normativa comunitaria, ma si pone addirittura in contrasto
con la medesima laddove l’omessa annotazione nel registro degli acquisti determini la perdita
del diritto di detrazione.
Secondo i giudici di legittimità, la detrazione deve intendersi riconosciuta alla triplice
condizione che:
(i) l’imposta addebitata in fattura dal cedente/prestatore sia divenuta esigibile (art. 167
della Direttiva n. 2006/112/CE);
(ii) il cessionario/committente abbia destinato i beni/servizi acquistati al compimento di
operazioni imponibili (art. 168 della Direttiva n. 2006/112/CE);
(iii) il cessionario/committente sia in possesso di una fattura regolare (art. 178 della
Direttiva n. 2006/112/CE).
Le altre formalità, riguardanti le modalità di esercizio del diritto alla detrazione, si configurano
quali meri obblighi formali, volti a prevenire ed eliminare il rischio di frode e di evasione, la
cui violazione non autorizza gli Stati membri a precludere al soggetto passivo l’esercizio della
detrazione.
Ne consegue che l’omesso o irregolare adempimento degli obblighi formali e degli altri
obblighi, che gli Stati membri hanno facoltà di stabilire in quanto ritenuti necessari ad
assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare frodi, non legittima gli Stati membri ad
escludere il diritto di detrazione laddove risultino adempiuti gli obblighi sostanziali, fatto salvo
il caso in cui la violazione degli obblighi formali implichi un rischio di perdita di entrate fiscali
o sia relativa ad operazioni caratterizzate da frode fiscale o dall’uso abusivo delle norme
comunitarie.
Al di fuori delle ipotesi patologiche, l’adempimento degli obblighi formali risulta
esclusivamente finalizzato all’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, sicché gli
Stati membri possono prevedere l’obbligo di documentazione delle operazioni passive al fine
di agevolare la dimostrazione dell’esistenza delle condizioni sostanziali relative all’esercizio
della detrazione. Rimane, invece, escluso – in quanto eccedente i limiti consentiti dalla
normativa comunitaria – che gli Stati membri possano predeterminare le “prove legali” del
diritto di detrazione, precludendo al contribuente di avvalersi di qualsiasi altro mezzo di prova
consentito dall’ordinamento interno per gli altri diritti soggettivi.
Di conseguenza, se il contribuente osserva gli obblighi formali previsti dalla normativa interna
(nella specie, annotando regolarmente le fatture passive nel registro degli acquisti), graverà
sull’Amministrazione finanziaria che intenda disconoscere il diritto di detrazione, negando la
corrispondenza della realtà fattuale con quella rappresentata nelle scritture contabili, l’onere
della relativa prova; diversamente, laddove il contribuente non osservi gli obblighi formali
disciplinati dall’ordinamento nazionale, sarà onere dello stesso, a fronte della contestazione di
omessa od irregolare tenuta delle scritture contabili (nella specie, del registro IVA degli
acquisti), fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa
comunitaria ricollega la nascita del diritto alla detrazione.
La sentenza della Corte di giustizia di cui alla causa C-590/13 del 17 luglio 2014 (Idexx
Laboratories Italia), pur riguardando gli effetti dell’omesso reverse charge “esterno” sul diritto
di detrazione, conferma che l’obbligo di registrazione, se non adempiuto, non può, di per sé,
precludere l’esercizio della detrazione in considerazione della sua natura esclusivamente
“formale”.
Ad ulteriore sostegno di questa conclusione, confermata anche dalla Corte di Cassazione nella
sentenza n. 11168 del 21 maggio 2014, può osservarsi che la normativa comunitaria dà
rilevanza, ai fini in esame, alla fattura e non alla sua registrazione. In particolare, l’art. 178
della Direttiva n. 2006/112/CE subordina la detrazione al possesso di una fattura regolare, cioè
conforme alle indicazioni previste dalla stessa Direttiva, idonee a collegare l’operazione alla
sua rappresentazione documentale.
È in quest’ottica “sostanziale” che la Corte di giustizia ha ripetutamente affermato che la
detrazione presuppone l’esistenza dell’acquisto documentato dalla fattura, essendo possibile
detrarre l’imposta alla condizione che l’operazione sia effettiva (si veda, da ultimo, la sentenza
13 marzo 2014, causa C-107/13, Firin).
Al di fuori, pertanto, delle situazioni fraudolente, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria
dovrebbe essere rispettosa del principio di proporzionalità, a sua volta indispensabile per
garantire il principio di neutralità dell’imposta, “il quale esige che la detrazione a monte di
quest’ultima sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi
formali siano stati omessi dai soggetti passivi” (Corte di giustizia, 12 luglio 2012, causa C-
284/11, EMS-Bulgaria Transport).
In definitiva, “in mancanza di norme specifiche relative alla prova del diritto a detrazione, gli
Stati membri hanno il potere di prescrivere la produzione dell’originale della fattura per
comprovare tale diritto, nonché quello di ammettere, se il soggetto passivo non ne è più in
possesso, altre prove attestanti che l’operazione oggetto della domanda di detrazione è
realmente avvenuta” (Corte di giustizia, 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf).
Da questa indicazione si desume, come precedentemente ricordato, che l’obbligo di
registrazione degli acquisti, previsto dall’art. 25, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, non solo non
è contemplato dalla normativa comunitaria, ma si pone addirittura in contrasto con la
medesima laddove l’omessa annotazione nel registro degli acquisti determini la perdita del
diritto di detrazione.
FONTE: www.ecnews.it