di Pierluigi Rausei 9 Luglio 2015
Disciplinati anche i controlli a distanza nello schema di decreto delegato, attuativo del Jobs Act, in materia di “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese” (AG 176). La norma del Jobs Act sembra orientata a superare l’odierna disciplina consentendo al datore di lavoro una maggiore libertà di azione che prescinda dai passaggi sindacali o amministrativi previsti dalla legge.
Il Ministro del lavoro, al riguardo, ha precisato che la norma si limita ad adeguare i contenuti dello Statuto dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche successive, senza liberalizzare i controlli datoriali. Sul punto si è espresso anche il presidente dell’Autorità garante privacy nel discorso di presentazione della relazione annuale 2015.
Lo schema di decreto delegato attuativo della legge n. 183/2014 (cd. “Jobs Act”) in materia di “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese” (AG 176), adottato in sede preliminare dal Consiglio dei Ministri l’11 giugno 2015, per il quale sono attesi i relativi pareri parlamentari entro il 16 luglio 2015, si occupa all’art. 23 di riscrivere i contenuti dell’art. 4 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).
L’intervento normativo si presenta come azione di semplificazione ma invero le procedure di autorizzazione all’installazione e all’utilizzo di strumenti di controllo a distanza non vengono semplificati, mentre sembrano mutare le possibilità di impiegare a qualsiasi fine le informazioni acquisite attraverso controlli a distanza.
La scelta del legislatore delegato ha suscitato forti reazioni sindacali e interventi dubitativi e preoccupati da parte della dottrina, costringendo il Ministro del Lavoro ad un intervento pubblico di limitazione della portata applicativa della norma adottata dal Governo e trasmessa al Parlamento.
Tuttavia i contenuti della norma e della relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto ha fatto registrare un richiamo significativo da parte del Garante Privacy.
La norma proposta nel decreto semplificazioni
L’articolo 23, primo comma, dello schema di decreto detta la nuova disciplina in materia di “impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo” che consentano anche potenzialmente il controllo a distanza dei lavoratori, sostituendo il testo ora vigente dell’articolo 4 della legge n. 300/1970.
Il primo comma (primo periodo) della disposizione elenca i presupposti che consentono al datore di lavoro – previo accordo collettivo aziendale (con RSA o RSU) – l’utilizzo di strumenti dai quali possa derivare, anche solo astrattamente, un controllo a distanza dei lavoratori:
- esigenze organizzative e produttive;
- sicurezza del lavoro;
- tutela del patrimonio aziendale.
La norma (secondo periodo del primo comma) sancisce, inoltre, che nella ipotesi di imprese con unità produttive situate in province diverse della stessa regione ovvero in più regioni distinte, l’accordo può essere stipulato con RSA e RSU oppure con le rappresentanze delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Anche nel nuovo quadro normativo delineato dal Jobs Act ove manchi l’accordo con le organizzazioni sindacali l’installazione degli impianti e degli strumenti di controllo può essere preventivamente autorizzata della Direzione territoriale del lavoro. Si aggiunge espressamente che laddove l’azienda sia strutturata in una pluralità di unità produttive, collocate in province di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro (comma 1, terzo periodo), l’autorizzazione possa essere rilasciata del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (quale “alternativa” al rilascio da parte della DTL).
Il secondo comma del nuovo art. 4 della legge n 300/1970 prevede che l’utilizzo degli strumenti necessari al lavoratore per svolgere la propria prestazione lavorativa, come pure quello delle apparecchiature di rilevazione e di registrazione degli accessi e delle presenze, non richiedono la sussistenza delle causali (organizzative, produttive di sicurezza e di tutela patrimoniale) e non esigono il preventivo accordo sindacale né l’autorizzazione degli uffici ministeriali (territoriale o centrale).
La relazione tecnica sul punto precisa che accordo o autorizzazione non occorrono neppure quando dagli strumenti e dalle apparecchiature di lavoro “derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore”, con ciò significando un sensibile varco rispetto alle tutele originarie in materia, laddove ogni forma di possibile controllo a distanza dei lavoratori era soggetta al vaglio sindacale o ministeriale.
Il terzo e ultimo comma del novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che le informazioni raccolte dal datore di lavoro sia con strumenti e apparecchiature oggetto di intesa sindacale o autorizzati dalle strutture ministeriali, sia con gli strumenti di lavoro “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”.
Si tratta di una apertura notevole rispetto al testo oggi vigente, in ragione del quale l’utilizzabilità dei dati raccolti mediante gli strumenti di controllo a distanza, per dimostrare l’inadempimento contrattuale del lavoratore e a sostegno di procedimenti disciplinari, ha formato oggetto di pronunce giurisprudenziali (l’orientamento prevalente si è consolidato in senso affermativo come in Cass. 23 marzo 2011, n. 6498; ma una recente pronuncia in senso contrario si è avuta in Cass. 1° ottobre 2012, n. 16622; è stata esclusa però l’utilizzabilità dei dati raccolti con impianti installati senza accordo collettivo ovvero senza autorizzazione ministeriale, così Trib. Napoli 29 settembre 2010).
In ogni caso l’utilizzo delle informazioni raccolte dagli strumenti a distanza è sottoposto ad una duplice condizione dal terzo comma dell’art. 4 della legge n. 300/1970 riscritto dall’art. 23 dello schema di decreto sulle semplificazioni:
- al lavoratore deve essere stata data una adeguata informazione circa le modalità di impiego degli strumenti e delle apparecchiature, nonché in merito alle modalità di svolgimento dei controlli;
- nei confronti di tutti i lavoratori va in ogni caso rispettata la normativa in materia di tutela della privacy (d.lgs. n. 196/2003).
La nuova disposizione non contiene più la previsione di un contenzioso amministrativo riguardante la decisione assunta dalla DTL, risultando quindi abrogata la norma che oggi permette – al datore di lavoro o alle rappresentanze sindacali a seconda delle circostanze obiettive dell’esito dell’istruttoria procedimentale – di impugnare mediante ricorso alla competente Direzione generale del Ministero del lavoro le decisioni della DTL.
Sanzione penale
L’articolo 23, comma 2, dello schema di decreto nel modificare l’art. 171 del d.lgs. n. 196/2003 conferma la tutela penale del divieto di operare controlli a distanza con impianti, strumenti e apparecchiature non accordate o non autorizzate preventivamente.
Come nel testo vigente, infatti, la violazione del nuovo art. 4 della legge n. 300/1970 si struttura come ipotesi di reato punita in combinato disposto con l’art. 38 della stessa legge n. 300/1970.
In effetti, pur dopo l’intervento del D.Lgs. n. 196/2003, la fattispecie permane penalmente illecita, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 171 del decreto, il quale testualmente prevede che «la violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all'art. 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300».
Poiché l’art. 114 del D.Lgs. n. 196/2003, si limita a stabilire che «Resta fermo quanto disposto dall'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300», ne deriva che il datore di lavoro è punito con la pena alternativa da euro 154 a euro 1.549 o arresto da 15 giorni ad un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, a norma dell’art. 38, comma primo, della legge n. 300/1970, per effetto del rinvio espresso operato dall’art. 171 del D.Lgs. n. 196/2003, tranne che nei casi più gravi laddove le pene dell’ammenda e dell’arresto sono applicate congiuntamente.
Nell’ipotesi base può trovare applicazione l’istituto della prescrizione obbligatoria, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004, per cui il personale ispettivo procederà a prescrivere la regolarizzazione del comportamento datoriale, mediante tempestivo ripristino della legalità, che potrà alternativamente consistere nel raggiungimento di un accordo con le rappresentanze sindacali ovvero nella rimozione degli impianti e delle apparecchiature di controllo a distanza illecitamente installate.
Da ultimo, peraltro, si tenga presente che non configurandosi una ipotesi di reato “proprio”, della quale potrebbe divenire imputabile il solo datore di lavoro, la contravvenzione in argomento è idonea a colpire anche il comportamento dei soggetti deputati al controllo a distanza o comunque addetti all’utilizzo delle apparecchiature e degli impianti, che saranno puniti alla medesima stregua del datore di lavoro.
La legge delega e la disciplina vigente
Il decreto delegato di cui all’AG 176/2015 attua sul punto la delega contenuta nella lettera f) del comma 7 dell’articolo unico della legge n. 183/2014 che contiene la previsione di una revisione normativa del quadro regolatorio che oggi disciplina il potere del datore di lavoro di installare e di utilizzare sistemi di controllo a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro (ad es. impianti audiovisivi, sistemi di controllo su elaboratori elettronici e personal computer, impianti e centralini telefonici, smartphone, tablet, apparecchiature elettroniche o digitali di controllo da remoto, localizzatori GPS).
La norma del Jobs Act sembra chiaramente orientata a superare l’odierna disciplina dettata dall’art. 4 della legge n. 300/1970 e dall’art. 114 del D.Lgs. n. 196/2003 (che nel confermare, anche ai fini della tutela della privacy, il divieto di controllo a distanza sui lavoratori si è limitato a richiamare la norma dello Statuto), consentendo al datore di lavoro una maggiore libertà di azione che prescinda dai passaggi sindacali o amministrativi previsti dalla legge, con una previsione normativa che indichi la procedura da seguire (presumibilmente una mera informativa individuale e collettiva ai lavoratori e alle rappresentanze sindacali), tenendo conto delle caratteristiche tecniche dei sistemi di controllo a distanza in base alla evoluzione tecnologica, con un contemperamento degli interessi aziendali (le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa) e di quelli dei lavoratori (la tutela della dignità e della riservatezza).
Nelle more della attuazione della legge delega, peraltro, vale la pena ricordare che l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in effetti, giunge appositamente a bilanciare i contrapposti interessi/diritti dell’imprenditore ad esercitare il controllo connesso ai suoi poteri datoriali e del lavoratore a preservare una sfera di privatezza intangibile, anche nell’ambito – del luogo e del tempo – del rapporto di lavoro. La norma risponde all’esigenza di limitare il potere del datore di lavoro di esercitare la vigilanza sul comportamento tenuto dai dipendenti nei luoghi dove si svolge l’attività lavorativa. La finalità della disposizione, dunque, è palesemente quella di impedire non già ogni forma di controllo sull’adempimento regolare e corretto della prestazione di lavoro, ma in verità di vietare quei controlli che vengono posti in essere in forme o con modalità che risultano lesive della dignità dei lavoratori, senza dare rilievo, in principio, al fatto che tale “dignità” risulti manifestazione di riservatezza piuttosto che di libertà morale, o di tutela della personalità del lavoratore o di consapevolezza dei controlli o, infine, di diritto a non essere esposto a controlli obiettivamente eccessivi.
L’art. 4 della legge n. 300/1970, ben è vero, si preoccupa di acconsentire agli accertamenti e ai controlli c.d. “difensivi” sulle attività lavorative e sui luoghi di lavoro, tuttavia il consenso viene assoggettato ad un vaglio sindacale ovvero amministrativo di carattere preventivo, al fine di accertare, appunto, che non vi sia alcun ipotetico pregiudizio a danno della dignità della persona che lavora. Il secondo comma della disposizione rende leciti, infatti, gli impianti audiovisivi e le altre apparecchiature di controllo a distanza che siano «richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro», purché l’installazione degli stessi sia preceduta da un «previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali» ovvero, in mancanza di accordo, da un provvedimento della Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, su istanza del datore di lavoro, nel quale vengono dettate, «ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti».
La fattispecie illecita che integra il divieto posto dall’art. 4, comma 1, legge n. 300/1970 è data, pertanto, dalla contestuale sussistenza di due distinti elementi:
· l’installazione per l’effettivo utilizzo di una apparecchiatura di tipo audiovisivo o comunque atta al controllo a distanza “dell’attività dei lavoratori” (non quindi della sola attività lavorativa, ma del complesso delle attività anche non attinenti all’adempimento della prestazione di lavoro);
· la finalità obiettiva di voler assoggettare a controllo “a distanza” i lavoratori, dovendosi intendere il concetto di “distanza” sia nella dimensione spaziale (da luogo distante e nascosto) che in quella temporale (in momento successivo e segreto).
Se, in assenza di “esigenze organizzative e produttive” o anche di necessità di tutelare la “sicurezza del lavoro”, il reato si compie con la mera rilevazione dei due requisiti anzidetti, nel caso sussistano, invece, alternativamente, uno dei due profili da ultimo tracciati, risulterà penalmente sanzionabile l’installazione che abbia come ragione fondante e determinante il controllo a distanza, senza un preventivo accordo sindacale in ambito di rappresentanze aziendali o priva del provvedimento autorizzativo della Direzione territoriale del lavoro (Cass. Civ., Sez. Lav., 18 febbraio 1983, n. 1236).
In realtà la struttura della norma non impone una partecipazione psicologica del datore di lavoro di tipo doloso, giacché appare sufficiente che lo stesso sia in colpa, rilevando, piuttosto, le circostanze oggettive della idoneità dell’impianto o dell’apparecchiatura a consentire il controllo illecito. Al punto che è stata ritenuta illecita la condotta della mera installazione di impianti idonei al controllo a distanza, sebbene non ancora attivati, essendo in sé integrativa dell’ipotesi di reato la potenziale idoneità della strumentazione prescelta dal datore di lavoro (Cass. Civ., Sez. Lav., 16 settembre 1997, n. 9211).
Di recente, Cass. Pen., Sez. III, 11 giugno 2012, n. 22611 ha stabilito che «non commette reato il datore di lavoro che installa telecamere che riprendono i dipendenti, ai quali è stato fatto firmare un foglio contenente la relativa autorizzazione». La Suprema Corte ha, infatti, espressamente statuito che «se è vero che non si trattava né di autorizzazione della RSU né di quella di una commissione interna, logica vuole che il più contenga il meno sì che non può essere negata validità ad un consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori e non soltanto da una loro rappresentanza». Contrariamente al portato giurisprudenziale consolidato in materia, dunque, la pronuncia richiamata ha affermato, per la prima volta, che le tutele dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori contro illecite o subdole attività di controllo a distanza delle prestazioni lavorative non si attuano pienamente soltanto in presenza di un esplicito e motivato consenso espresso formalmente dagli organismi sindacali rappresentativi già previsti dalla medesima legge n. 300/1970, ma anche quando il medesimo esplicito consenso venga prestato direttamente, senza rappresentanza intermedia, dalla generalità dei dipendenti anche solo potenzialmente interessati dalle azioni di controllo. La Suprema Corte, argomentando sul principio di effettività della norma e motivando sulla inesistenza di disposizioni normative che disciplinino le modalità di acquisizione del consenso da parte dei lavoratori interessati dalle azioni di controllo datoriali, afferma che opinare nel senso di una non valida manifestazione di assenso da parte di tutti i lavoratori perché non idoneamente rappresentati in sede sindacale «avrebbe un taglio di un formalismo estremo tale da contrastare con la logica», anche perché «l’interpretazione della norma deve sempre avvenire avendo presente la finalità che essa intende perseguire».
Da ultimo, non si può sottacere il ruolo della contrattazione collettiva di prossimità relativamente al tema in argomento, secondo quanto previsto dall’art. 8, commi 1, 2 e 2-bis, del decreto-legge n. 138/2011, come convertito dalla legge n. 148/2011, che include espressamente fra gli ambiti di intervento derogatorio anche la materia dei controlli a distanza.
La posizione del Ministero
In un comunicato stampa del 18 giugno 2015 il Ministro del lavoro ha voluto precisare che la norma sugli strumenti di controllo a distanza contenuta nello schema di decreto delegato in materia di semplificazioni, si limita ad adeguare i contenuti dell'art. 4 della legge n. 300/1970 alle innovazioni tecnologiche successive, senza liberalizzare i controlli datoriali, ma limitandosi a “fare chiarezza circa il concetto di "strumenti di controllo a distanza" ed i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso questi strumenti, in linea con le indicazioni che il Garante della Privacy ha fornito negli ultimi anni e, in particolare, con le linee guida del 2007 sull'utilizzo della posta elettronica e di internet”.
Il Ministero sottolinea, inoltre, che la norma proposta seguita a prevedere come lo Statuto dei lavoratori che gli strumenti di controllo a distanza che rendono possibile il controllo dei lavoratori, possono essere installati soltanto in base a esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e sempreché vi sia un preventivo accordo sindacale o, in mancanza, con la preventiva autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro o della competente Direzione generale dello stesso Ministero. La norma nell’esonerare gli strumenti assegnati al lavoratore per svolgere il proprio lavoro (gli "attrezzi di lavoro" come PC, tablet e cellulari) non consentirebbe, secondo il Ministero, di controllare il lavoratore.
L’intervento del Garante privacy
Il presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, nel discorso di presentazione della relazione annuale del 23 giugno 2015, ha affermato, a proposito del testo dell’art. 23 dello schema di decreto delegato, che deve ritenersi auspicabile che la norma novellata «sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea».
In questo senso, sottolineando come il testo proposto al Parlamento dal Governo possa risultare eccessivamente permissivo sul fronte di un esercizio invasivo e ingiustificato del potere di controllo datoriale, attraverso le più disparate strumentazioni e apparecchiature tecnologicamente avanzate.
Rilevano allora, nella disamina della norma così come sarà approvata in via definitiva dopo i pareri parlamentari, le Linee guida del Garante per la privacy di cui alla deliberazione n. 13 del 1° marzo 2007 che hanno assoggettato alla normativa a tutela del trattamento dei dati personali l’utilizzo della posta elettronica e di internet sui luoghi di lavoro da parte dei lavoratori, sollecitando l’adozione di una regolamentazione interna che consenta di adottare misure organizzative e tecnologiche idonee e vietando ai datori di lavoro di operare trattamenti di dati utilizzando strumenti di controllo a distanza (art. 154, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 196/2003).
Da ultimo, va rilevato che il legislatore delegato, anche in funzione dei principi e dei criteri di attuazione della legge n. 183/2014, dovrà tenere conto anche della Raccomandazione (CMRec(2015)5)) in tema di utilizzo dei dati personali negli ambiti lavorativi, adottata il 1° aprile 2015 dal Consiglio d’Europa (), che amplifica a livello comunitario le indicazioni contenute nelle Linee guida del Garante per la privacy del 1° marzo 2007.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.
FONTE: IPSOA.IT