Giovedì 12 gennaio 2017
Il Tar Campania con un importante pronuncia del 1 settembre 2016 n.4145, ha posto un chiaro principio: "non è dovuta l'I.V.A., in relazione alle spese di lite liquidate al ricorrente come difensore di se medesimo".
Una recente sentenza del TAR Campania sede di Napoli, del Settembre 2016, ha rilevato che la soddisfazione solo parziale delle obbligazioni pecuniarie a titolo di spese di giudizio, senza cioè corrispondere l'importo a titolo di I.V.A. da parte di un ente pubblico a favore della controparte, risulta legittimo nell'ipotesi in cui la parte costituita in giudizio sia procuratrice di se medesima.
Più precisamente il TAR di Napoli, si è trovato innanzi un giudizio di ottemperanza, attinente a giudicati formatosi su sentenze giammai adempiute dall'amministrazione soccombente, in merito al pagamento di spese di lite a favore della parte attorea costituita come "procuratrice di se medesima".
Le spese processuali si suddividono in costi processuali connessi sia all'attività dei vari organi giurisdizionali sia a specifiche prestazioni professionali da parte di professionisti. Il fondamento dell'istituto della condanna alle spese, si rinviene nel principio dell'anticipazione dei costi disciplinato dall’articolo 90 c.p.c. nonché dal d.p.r. 115/2002. Secondo tale regola, ciascuna parte è tenuta ad anticipare tutte le spese processuali, comprese quelle di assistenza legale, in vista di una successiva corresponsione a carico di quella soccombente, che abbia reso necessario l'avvio di un processo.
Secondo quanto statuisce l’articolo 91 c.p.c. l'organo giudicante in ogni grado di giudizio, è tenuto a determinare, per la parte soccombente, l'ammontare della condanna alle spese cosi come anticipate dalle altre.
Tra le spese a carico della parte soccombente è ricompreso il ristoro di quanto versato per la parcella professionale dell'avvocato, con liquidazione dell’ammontare, con conseguente rimborso dell’IVA, che la medesima parte vittoriosa ha versato al proprio difensore, oltre che alla Cassa Previdenza e Assistenza (C.P.A.).
Più specificatamente ai fini Iva, il D.P.R. 633/1972 impone al professionista che abbia prestato la propria opera al cliente, l'obbligo di corrispondere all'erario l'imposta sul proprio onorario rivalendosi nei confronti del proprio assistito a cui deve rilasciare apposita fattura.
Ed è proprio in considerazione della particolare natura impositiva dell'I.V.A., è possibile affermare il principio per il quale la condanna deve intendersi sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva.
Alla luce di tali considerazioni è possibile comprendere come il giudice amministrativo, nell'epigrafata sentenza, abbia ritenuto come dovute, in ogni caso, le generali spese di studio e di C.P.A. a differenza di quelle I.V.A. non trovando giustificazione se la parte risulta difensore di se medesimo.
Il differente trattamento si giustifica anche in virtù del diverso fondamento delle spese, avendo quelle generali di studio (nella misura del 12,50% vigente ratione temporis) "titolo e misura" nella legge, non necessitando che il dispositivo della sentenza ne indichi l'importo (Cass. n. 9315/2013), e di C.P.A. (nell'aliquota 4%) in prestazioni professionali forensi.
Per quanto attiene invece l'I.V.A. questa non risulta dovuta per l'avvocato che agisce in giudizio quale procuratore di se medesimo. Infatti come previsto dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 203/E del 06.12.1994 si pone a fondamento della debenza del rimborso Iva l'apposito meccanismo di rivalsa, che presuppone l'esistenza di un rapporto di base tra cliente e avvocato, non ravvisabile laddove l'avvocato agisca quale procuratore di se medesimo.
Più segnatamente, la circolare in questione, analizzata anche in virtù dell'orientamento espresso dalle SS.UU. della cassazione nella sentenza n. 3544 del 12.06.2016, fornisce dei chiarimenti in ordine all'art. 18 co. 1 del D.P.R. 633 del 1972, statuendo come "l'obbligo del rimborso iva trova giustificazione in un rapporto sinallagmatico tra cliente e avvocato", che si pone a fondamento del ristoro (alla cui solutio è onerata la parte soccombente, vincolata alla prestazione dalla condanna) per le somme che la parte vittoriosa ha esborso sulla fattura dell'avvocato emessa a saldo .
Pertanto proprio in ragione del particolare regime impositivo dell'iva e di quanto esposto sin ora, ne consegue che nei casi in cui la parte vincitrice, in una vertenza attinente la propria attività, sia essa stessa passiva d’imposta,con conseguente diritto alla detrazione dell’imposta medesima, ha titolo di recuperare l’imposta solo in sede di detrazione, potendo chiedere il ristoro in sentenza solo di quanto dovuto per onorario e spese processuali: rilevando il pagamento della somma corrispondente all’IVA solo come costo del processo a titolo di condanna.
FONTE:ALTALEX