di Sergio Pellegrino - 6 AGOSTO 2015
Tutto il dibattito sviluppatosi nel corso degli anni sul tema dell’imposizione indiretta della
disposizione dei beni in trust, in un serrato confronto fra dottrina, amministrazione finanziaria
e giurisprudenza di merito, è stato “spazzato” via da tre inopinate ordinanze di febbraio della
Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Le pronunce in questione, pur essendo coeve e scritte dalla stessa mano, presentano fra di loro
elementi di differenza che evidenziano una certa confusione nello sviluppo seguito
dall’estensore: condividono però un filo conduttore comune e cioè il fatto che l’articolo 2,
comma 47, del D.L. n. 262/2006, che fino ad oggi credevamo si fosse limitato “soltanto” a
reintrodurre nel nostro ordinamento l’imposta di successione e donazione, in realtà avrebbe
dato vita ad una “nuova” imposta, quella sui vincoli di destinazione, che sarebbe del tutto
autonoma.
La “nuova” imposta sarebbe accomunata all’imposta di successione e donazione soltanto dalla
disciplina che riceve “mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del
D.Lgs. 347/1990”, ma si fonderebbe su un presupposto impositivo differente, “correlato alla
predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli
obiettivi voluti”.
Per far scattare il presupposto impositivo, secondo la “fantasiosa” visione elaborata dalla
Suprema Corte, non sarebbe dunque necessario che vi sia un trasferimento di beni e diritti, né
riscontrare che vi sia una liberalità o l’arricchimento di alcuno: il contenuto patrimoniale
referente di capacità contributiva sarebbe l’utilità economica che è destinata a pervenire al
beneficiario finale, sul quale deve quindi, in definitiva, gravare il peso del prelievo.
L’imposta sarebbe istituita non sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di
vincoli di destinazione, come invece è per le successioni e donazioni, per le quali è
espressamente evocato il nesso causale, ma direttamente sulla costituzione dei vincoli.
Nella prima di queste ordinanze, la n. 3735 del 24 febbraio 2015, viene affrontato il caso di un
trust autodichiarato, nel quale il disponente ha istituito il trust al fine di rafforzare la generica
garanzia patrimoniale già prestata a favore di alcuni istituti bancari.
Non essendo rilevante il trasferimento dei beni per far scattare l’obbligo impositivo, secondo i
giudici vi sarebbe prelievo anche in questo caso e risulterebbe applicabile l’aliquota nella
misura dell’8%, “imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura del conferente,
che seguita ad essere proprietario dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma,
che godono dell’aliquota inferiore”.
Qui è evidente la totale confusione dell’estensore, che richiama in questo punto la “figura del
conferente” e non quella del “beneficiario finale”, cui aveva fatto in precedenza riferimento
affermando che “il peso del prelievo coerentemente va gravare sull’utilità e, in definitiva, sul
beneficiario finale, al quale esse destinata a pervenire”.
Nell’ordinanza 3737, sempre del 24 febbraio, è stato invece esaminato il caso di un trust di
scopo, istituito dalla Fondazione Cassa di risparmio di Perugia assieme ad alcuni enti pubblici
con l’obiettivo di riqualificare l’aeroporto di Perugia.
Anche qui la conclusione è quella dell’applicazione dell’imposta sulla costituzione del vincolo
di destinazione nella misura dell’8%, ma viene in modo “fumoso” ipotizzata la possibilità che
il prelievo impositivo non si esaurisca al momento della dotazione, come teorizzato da tutti,
Agenzia compresa, ma possa essere “riliquidato”: afferma infatti la sentenza che “La materiale
percezione dell’utilità, ossia secondo la tradizionale impostazione, l’arricchimento, appartiene
all’esecuzione del programma di destinazione, che, per conseguenza, non rileva ai fini
dell’individuazione momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo,
anche ai fini dell’eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie”.
Nell’ordinanza 3886 del 25 febbraio, infine, viene analizzato il caso di un trust con due
disponenti che si sono nominati trustee e beneficiari (se in vita, altrimenti i figli in parti uguali):
la Cassazione conclude nuovamente per l’applicabilità dell’imposta sui vincoli di destinazione
con l’aliquota dell’8%.
Dalla lettura di queste pronunce, molto confuse s’è detto, vi è un unico aspetto che emerge
con grande chiarezza, e cioè il fatto che la Suprema Corte è incorsa in un gravissimo infortunio
interpretativo, che rischia di creare nocumento non soltanto ai trust, ma a qualsiasi fattispecie
che implichi l’apposizione di un vincolo di destinazione: a partire dal fondo patrimoniale e
dagli atti di destinazione disciplinati dall’articolo 2645 ter del codice civile per arrivare,
potenzialmente, alle intestazioni fiduciarie, ai patrimoni destinati ad uno specifico affare, e
così via.
Inutile dire che è auspicabile alla prima occasione un brusco revirement per cancellare con un
colpo di spugna anche il ricordo di queste scellerate ordinanze.
FONTE: EUROCONFERENCE NEWS