Errori contabili: il raddoppio dei termini
Pur in presenza della segnalazione di uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000,
il contribuente non può utilizzare la procedura di correzione degli errori in
bilancio di cui alla Circolare n. 31/E del 2013 con riferimento al periodo
d’imposta 2008, in quanto gli effetti del raddoppio dei termini operano
esclusivamente a favore dell’Amministrazione Finanziaria.
È questo quanto chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 57/E
dell’8 giugno 2015.
Affitto d’azienda: aspetti civilistici, contabili e fiscali
Con il contratto di affitto d’azienda il conduttore acquisisce il diritto di
godimento, dietro corrispettivo, di un complesso aziendale di proprietà del
locatore, nonché i poteri di gestione dello stesso, subentrando nei relativi
rapporti e impegnandosi a non modificarne la destinazione e a conservarne
l’integrità economico-tecnica.
Da un punto di vista civilistico, l’affitto d’azienda è disciplinato dall’art. 2562 del
Codice civile con rinvio alle disposizioni previste dall’art. 2561 Cod. civ..
Nel presente intervento, oltre a delineare i profili civilistici e contabili
dell’istituito, analizzeremo i relativi profili impositivi diretti e indiretti, oltreché
delineare quelli che sono le particolarità nella presentazione della
Dichiarazione IVA dalle parti del contratto (locatore e affittuario).
Studi di settore e regime premiale
Per il periodo d’imposta 2014 hanno accesso al regime premiale i 157 studi per i
quali risultano approvati gli indicatori di coerenza economica riferibili ad
almeno 4 tra le seguenti diverse tipologie: efficienza e produttività del fattore
lavoro; efficienza e produttività del fattore capitale; efficienza di gestione delle
scorte; redditività; struttura.
Oppure a tre delle tipologie indicate sopra, e che contemporaneamente,
prevedono l’indicatore “Indice di copertura del costo per il godimento di beni di
terzi e degli ammortamenti”.
Per quanto concerne il comparto professionale, tenuto conto che la particolare
funzione di stima prevista per alcuni studi nel valorizzare le prestazioni rese
non riesce a cogliere appieno i possibili casi di omessa fatturazione, gli stessi
restano esclusi dal regime, anche per l’annualità 2014, in attesa delle eventuali
modifiche in fase di evoluzione.
Studi di settore: Quadro X e correttivi
Come noto al fine di tener conto della crisi economica, il Decreto Legge n.
185/2008, c.d. “anticrisi”, ha previsto l’integrazione degli studi di settore, ad
opera di uno specifico Decreto Ministeriale, in deroga a quanto disposto dall’art.
1, comma 1, D.P.R. n. 195/1999 mediante l’approvazione di specifici correttivi.
Al riguardo si fa presente che per alcuni correttivi, (ad esempio, presenza di
apprendisti, quote di affitto locali) deve essere compilato il Quadro X del
modello degli studi. Se vi sono le condizioni richieste per accedervi, purché il
risultato sia quello di non congruità, il software GE.RI.CO. 2015 applica
automaticamente il correttivo.
Per altri correttivi quali per esempio “studio degli odontoiatri” è invece
necessario compilare nel Quadro D “Prestazioni rese in regime di odontoiatria
sociale” i righi D61 e D62.
IVA e Dichiarazioni di intento false
Qualora l’esportatore abituale rilasci nei confronti del cedente una
dichiarazione di intento falsa, l’operazione viene riqualificata come imponibile
IVA. Anche il fornitore sarà responsabile dell’imposta, a meno che non provi di
essere estraneo alla frode, non essendo a conoscenza della falsità del
documento. In tal senso di è espressa la suprema Corte di Cassazione prima con
l’ordinanza n. 176, depositata il 9 gennaio 2015 e, successivamente, con la
sentenza n. 4593/2015. Nello specifico, il giudice di legittimità ha stabilito che il
cedente/fornitore è tenuto al versamento dell’IVA sulle operazioni effettuate
senza applicazione d’imposta sulla base di dichiarazioni di intento false
ideologicamente.
Fatture soggettivamente false. Detrazione IVA solo con buona fede
Per effetto delle semplificazioni fiscali recate dal D.L. 16 del 2012, quanto alle
imposte dirette, sono deducibili dal reddito d’impresa i costi documentati da
fatture “soggettivamente” inesistenti, purché connotati dall’inerenza e
supportati da operazioni effettive e reali, mentre per l’IVA resta l’indetraibilità,
salvo che il contribuente non provi la propria buona fede, ossia l’oggettiva
impossibilità di conoscere il carattere fraudolento delle operazioni poste in
essere dagli altri soggetti coinvolti nell’operazione. È quanto emerge dalla
sentenza n. 11661/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile.
Rinvio alla CTR
Il giudice del rinvio dovrà esaminare nuovamente la questione concernente
la deducibilità dei costi in contestazione, alla stregua dei principi individuati
dalla Suprema Corte.
Per quanto riguarda l'IVA, la società ricorrente aveva l’onere di dimostrare la
propria buona fede rispetto alla frode ipotizzata dall’Ufficio (la buona fede è condizione essenziale per la detrazione dell'imposta applicata sulle fatture
soggettivamente inesistenti). Il giudice del rinvio dovrà considerare che,
quanto all’IVA, ha ragione la difesa erariale quando afferma che, ai fini della
detraibilità, una volta che l’Ufficio abbia allegato elementi indiziari in ordine
all’inesistenza, anche solo soggettiva, delle operazioni documentate dalle
fatture contestate, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare “di non
essere stato in grado di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere
fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione”
soprattutto laddove, come nella specie, le ditte fornitrici erano prive:
- di sedi operative adeguatamente attrezzate;
- di dipendenti;
- di una regolare contabilità aziendale.
Va considerato, infatti, che nell'ipotesi di fatturazione per operazione
soggettivamente inesistente, risolventesi nella diretta acquisizione della
prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura e
percepito l'IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata
effettivamente resa dal fatturante, in quanto sfornito di dotazione personale
e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo
elemento sintomatico dell'assenza di "buona fede" del contribuente. Ciò si
deve all'immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore - fatturante -
cessionario o committente), la quale induce ragionevolmente a escludere,
secondo la S.C., l'ignoranza incolpevole di quest'ultimo circa l'avvenuto
versamento dell'IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato
all'obbligo del pagamento dell'imposta. Con la conseguenza che, in siffatta
ipotesi, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza della
circostanza che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il
fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione
dell'IVA versata (cfr. Cass. 6229/2013; 24426/2013).
Per quanto concerne invece i recuperi IRES e IRPEF, il giudice del rinvio dovrà
tenere conto della nuova disciplina in materia di deducibilità di costi da reato
contenuta nel c.d. Decreto Semplificazioni tributarie (D.L. 16/2012) e quindi
che i costi derivanti da fatture soggettivamente inesistenti sono deducibili
anche nel caso in cui il contribuente abbia consapevolmente partecipato agli
illeciti, ma il giudice è chiamato a verificarne l’effettività, l’inerenza, la
competenza e la certezza. Sul punto gli ermellini scrivono: “in forza della
nuova normativa, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i
beni acquistati - di regola (salvo il caso, ad esempio, in cui il costo sia
consistito nel compenso versato all'emittente il falso documento) - non sono
stati utilizzati direttamente per commettere il reato, ma, nella maggior parte
dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento,
anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da soggetto
diverso dall'effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle
imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni. Resta, peraltro, pur
sempre ferma la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in
relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza,
determinatezza o determinabilità.” (su tutte: Cass. n. 10167 del 2012).
Registro. Notifica dell’avviso al Notaio
In tema di avviso di liquidazione per il recupero delle imposte ipotecarie e
catastali - versate in misura fissa invece che proporzionale in relazione all'atto
rogato da un Notaio a seguito dell'acquisto di un immobile da parte di una
società -, deve essere cassata senza rinvio la sentenza che ha affermato la
legittimazione della società a impugnare l’atto che era stato notificato al solo
Notaio in qualità di ufficiale rogante della denuncia di avverata condizione. È
quanto emerge dalla sentenza 15 maggio 2015 n. 9952 della Corte di
Cassazione. Ai sensi dell'art. 57 del D.P.R. n. 131/1986, il Notaio che ha redatto
l'atto e ha richiesto la registrazione è obbligato in solido, quale responsabile
d’imposta, con il contribuente (obbligato principale) al pagamento dell'imposta.
A sua volta l'art. 1292 c.c., in caso di obbligazione solidale, rimette al creditore,
nella specie all'Amministrazione Finanziaria, la facoltà di scegliere l'obbligato
al quale rivolgersi, senza alcun dovere di notificare l'avviso anche all’obbligato
principale.
Ne consegue che la società, nel caso analizzato dalla S.C., non era legittimata a
dolersi della fondatezza dell'atto rivolto al Notaio, atteso che non si può
vanificare la facoltà di scelta della creditrice di chiedere l'adempimento a uno
qualsiasi degli obbligati solidali.
Nell'imposizione indiretta varie norme sanciscono un vincolo solidale tra i
soggetti obbligati al pagamento dell'imposta. Il vincolo solidale consente
all'Amministrazione Finanziaria di scegliere a chi notificare l'avviso di
liquidazione: di conseguenza, l’A.F. può notificarlo a tutti i coobbligati o anche a
uno solo di essi. L'accertamento notificato ad alcuni soltanto dei coobbligati,
secondo la Cassazione, esplica i suoi effetti solo nei confronti di questi (n.
1312/1973). Con la sentenza n. 18493 del 2010, la Cassazione ha anche
sostenuto la possibilità, per il contribuente che sia parte dell'atto registrato, di
impugnare l'avviso di liquidazione dell’imposta anche quando notificato al solo
Notaio: quindi, in caso di notifica dell’avviso di liquidazione al solo Notaio,
legittimati all’impugnazione sarebbero tanto il professionista quanto le parti
dell'atto registrato. Tuttavia, secondo un’impostazione più restrittiva di cui si fa
menzione nella C.M. 23.4.96 n. 98, l'impugnazione sarebbe possibile solo da
parte del destinatario della notifica dell'avviso di liquidazione; in tal senso si è
espressa anche la Corte di Cassazione (sentenza n. 4047 del 2007). Ebbene,
questo orientamento restrittivo trova ora conferma nella sentenza n. 9952 dello
scorso 15 maggio.
Società di comodo: ultimi giorni per le istanze
Le società che intendono presentare l’istanza per disapplicare le disposizioni in
tema di società non operative o in perdita sistematica dovranno farlo almeno 90
giorni prima della scadenza del termine ordinario per la trasmissione della
dichiarazione dei redditi.
Le società con esercizio coincidente con anno solare, che dovranno presentare
il modello Unico entro il prossimo 30.09 potranno quindi presentare istanza di
interpello disapplicativo entro il 2 luglio 2015.
A nulla rileva il fatto che la dichiarazione potrà essere presentata tardivamente,
entro 90 giorni dal termine ordinario, oppure che si possa procedere con una dichiarazione integrativa a favore del Fisco o del contribuente (Circolare n. 32/E
del 14.03.2010).
Sempre la stessa Circolare ha inoltre chiarito che non assume alcun rilievo ai
fini della preventività, la circostanza che il contribuente sia tenuto ad effettuare
versamenti già prima della scadenza del termine ordinario di presentazione
della dichiarazione.
FONTE: FISCAL - FOCUS