Studi di settore: la crisi legittima lo scostamento dei ricavi

Giovedì 19 novembre 2015

 Lo scostamento dei ricavi accertati, attraverso lo strumento standardizzato, rispetto a quanto dichiarato inferiore al 21%, non costituisce grave incongruenza a maggior ragione se l’impresa versa in una cronica crisi economica. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22946 del 10 novembre 2015.


  IL FATTO Il caso trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento da parte del titolare di un’attività di autotrasporto per conto terzi, avente ad oggetto Irpef, Iva ed Irap per l’anno di imposta 2004, con il quale erano stati accertati, a mezzo studio di settore, maggiori ricavi. L’adita CTP accolse il ricorso e la decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, è stata confermata in secondo grado. In particolare, il giudice di appello – premesso che, nella specie, i maggiori ricavi rappresentavano solo il 21%, come scostamento rispetto al dichiarato – riteneva che tale misura non integrasse la “grave incongruenza” legittimante l’accertamento. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, censurando la decisione impugnata laddove la CTR aveva escluso che, nel caso in specie, ricorresse la gravità dello scostamento, quale principale presupposto di legge per applicare lo studio di settore. 

  LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. Sul punto, osservano gli Ermellini come la Suprema Corte abbia già avuto modo di chiarire che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In tale quadro complessivo è stato, così chiarito che “il tema della “grave incongruenza” appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello “scostamento” ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico-presuntivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass. 26843/2014). Orbene, nel caso di specie correttamente la CTR, rilevato che il contribuente aveva ottemperato all’invito del contraddittorio fornendo motivazioni, non accolte dall’Ufficio senza che quest’ultimo avesse fornito la idoneità dei parametri applicato in una fattispecie concernente una attività in crisi da anni con conseguente limitazione dei ricavi rispetto a quanto previsto dallo studio di settore, ha, poi, ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento anche perché mancante delle motivazioni specifiche che avevano determinato nell’Ufficio la decisione di disattendere i chiarimenti forniti dal contribuente e la documentazione fornita. Ne consegue il rigetto del ricorso.

fonte: lavorofisco.it -  Andrea Rosana

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